Con il forno acceso, di Giacomo Sandron

Con il forno acceso, di Giacomo Sandron.

     

   

La prima volta che ho letto dei testi davanti a un pubblico vero e proprio è stata quasi quindici anni fa. Indossavo un berretto di lana a cerchi concentrici colorati con in cima un pon pon, fatto ai ferri da mia nonna, un maglione blu con le toppe sui gomiti che ho ancora nell’armadio da qualche parte, un paio di pantaloni con i tasconi laterali, larghi e pesanti. Era quasi metà ottobre e faceva freddino. Ci trovavamo nella sede dell’associazione culturale Porto dei Benandanti nata pochi mesi prima a Portogruaro, cittadina ai margini della provincia di Venezia, Veneto Orientale, e ancora non ci avevano allacciato il riscaldamento. In quell’occasione mi accompagnavano i Dorotea Monoflò, che non esistono più. La formazione comprendeva basso, batteria, tromba e sintetizzatore. Suonavano una specie di funky jazzato e un po’ sbilenco, io tenevo in mano un piccolo librino dal titolo Beat generation 67 poesie, collana I miti poesia, editore Mondadori, 3900 lire, in copertina l’immagine di una pompa per l’erogazione del diesel. Non ricordo bene cosa lessi, quando finivo una poesia lanciavo il libro in aria, poi lo raccoglievo da terra e continuavo. Quell’antologia della beat generation è stata uno dei primi libri di poesia che ho comprato. Durante gli ultimi anni di liceo mi trovavo spesso con un amico a studiare, solo che passavamo la maggior parte del tempo a leggerci a vicenda testi di Ginsberg, Kerouac, O’Hara, Corso, Orlovsky, cercando di capire cosa volessero dirci con le loro associazioni stralunate.

Mi è sempre piaciuto leggere a voce alta, fin da bambino. Era come eseguire uno spartito: una breve pausa ad ogni virgola, una più lunga quando incontravi un punto, prendere fiato nei momenti giusti per dare fluidità ai periodi, azzeccare gli accenti e le intonazioni. Quando bisognava esercitarsi in lettura, alle elementari, in classe alzavo la mano sperando che la maestra scegliesse me, invece toccava sempre a chi doveva migliorare e io soffrivo come una bestia a sentire i miei compagni violentare quello che c’era scritto. Leggere bene era un modo per far filare liscio il mondo, perché le cose andassero per il verso giusto, almeno per un momento.

Mi sono chiesto spesso da dove arrivasse questa pulsione e mi sono accorto che, molto semplicemente, fin da piccolo sono stato circondato da storie. Mia madre mi decorava le lenzuola con i Puffi o i personaggi di Braccio di ferro e ogni sera, prima della buonanotte, se ne inventava una in cui loro erano i protagonisti. Possedevo un esemplare del mitico mangiadischi Penny, arancione, e di una discreta collezione di vinili a 45 giri di fiabe sonore che ho consumato con accanimento e determinazione. Le mie preferite in assoluto: Gli Aristogatti e I vestiti nuovi dell’imperatore. E poi quelle di famiglia. Ricordo lunghi pomeriggi passati a impastare torte e biscotti durante i quali si ripercorrevano le vicissitudini di nonni e bisnonni, zii e prozii, cugini alla lontana, figure misteriose che mai avrei conosciuto ma che sembravano essere legati a me in maniera indissolubile.

La mia voglia di ascoltare storie e di restituirle a voce alta è nata proprio nella cucina della casa dei miei genitori, con il forno acceso. Crescendo ho continuato a cercarle, a seguirle, a stanarle, a ripeterle, a metterle da parte. Ho passato e continuerò a passare, finché non mi divertirò più, giornate intere a registrare i racconti di mia nonna, a gironzolare ascoltando di nascosto ciò che le persone si dicono, a fare domande, ad ascoltare, ad osservare, osservare, osservare, come un grande occhio fisso, un po’ vitreo, leggermente iniettato di sangue. La felicità è questa, lo giuro. GS

*

Giacomo Sandron è nato vicino a Venezia verso la fine dell’estate del 1979, ha studiato a Trieste, vissuto in Portogallo e da qualche anno sta a Torino dove, come hanno scritto all’interno di una rivista di un certo livello, si dedica alla diffusione non accademica della poesia.

Beatblues del ritorno all’ora tarda

Sarà stato sicuro una checca maledetta
quello che è passato su e giù
sulla sua punto grigia, viale Miramare
ardeva gaio nella luce dei lampioni
oltre il muro della stazione, gli autobus
di quell’arancione triestetrasporti.

Tre volte passava mentre facevo l’autostop,
rallentava, mi squadrava, non si fermava, tre volte.
Farmi menare l’uccello, pensavo, risparmiare
la salita, farmi menare l’uccello, novello Ginsberg,
un passo, un cenno, pensavo,
alzavo la mano, diventavo beat.

Poi, era la sbronza divina che scarnifica, mi interessa,
non il folklore dei cazzi, pensavo, la Dorata Eternità.

Nel bar più vicino che c’era, ai piedi della Scala Santa,
Kerouac ordinava con giudizio una cosa forte,
la bottiglia di grappa domača
ce l’hanno lasciata aperta sul banco sotto il naso,
incustodita tra le nostre mani golose
s’è svaporata da questa civiltà definitiva.

Dalla Salita di Gretta, in discesa, filavano
le lunghe piroghe indigene, da fumare offrivano
l’erba di Paolo ci inchiodava sul divano
trapassati per la bocca
da un incendio di bagliori che sfilavano via via.

L’ultima sigaretta a tirarla su bagnavo la cartina
che la pioggia tutto attorno sfarinava sottile
che manco la sentivi, Senti Jack, gli dicevo,
Mi dai una delle tue? Domani, giuro, offro io.

L’ultimo tratto di strada lo faccio grondante
di riflessi rifratti da ovunque, la Madonna di Gretta
veglia imperterrita e contrita sulla gioventù del ’77.

La porta di casa aperta, in camera mi trovo
Cortazar seduto in poltrona che gira
vinili gracchianti, umido, disperatamente.

Julio, maledetto tarlo, che rovisti nelle piaghe
del cervello a queste ore, te l’ho detto mille volte
che così mi svegli i bimbi che dormono di là.

Gli lancio una coperta e per risposta attacca Monk,
solo piano, basso, per la decompressione, che ti vedo sciupato
mi dice, dovresti dormire, hai bisogno di ritmi regolari.

Rimane la Maga, solamente, che ritorni tutta cenere e oliva,
che mi dica ti ho pensato tanto in tutto questo tempo,
domani mattina facciamo colazione insieme e ti racconto.

      

Dal 1 Febbraio 2023
il numero di VERSANTE RIPIDO con tema:
"RUMORE BIANCO - L'ILLUSIONE DELL'INFORMAZIONE"
    
IN VERSIONE CARTACEA
È DISPONIBILE PER L'ACQUISTO