Incipio di Rosemilly Paticchio

da Incipio ed. L’Arca Felice di Rosemilly Paticchio con introduzione di Luigi Paraboschi.

  

Poetessa leccese, Rosemily Paticchio esordisce in campo letterario nel 2012 con la pubblicazione della raccolta poetica “Prima che i germi”, nell’ambito del volume antologico “Retrobottega 2” (CFR Edizioni), con saggio critico di Gianmario Lucini, e successivamente con il libretto di poesie “Incipio” per la collana Coincidenze di Arca Felice Edizioni, a cura di Mario Fresa. Negli ultimi anni ha pubblicato suoi componimenti in varie antologie di Perrone Editore e partecipato a concorsi letterari, vedendo pubblicate alcune poesie nelle relative raccolte antologiche; altre sono state selezionate e pubblicate nell’ambito dei Premi “Verba Agrestia 2011” (Lietocolle) e “Dal manoscritto al libro 2010” (Perrone).  Alcuni suoi contributi poetici sono apparsi su riviste letterarie, blogs e spazi on line dedicati alla poesia. Ha pubblicato racconti sulla rivista per ragazzi “Un due tre stella” (Lupo ed.) e collaborato con artisti operanti sul territorio locale, curando i testi creativi di mostre fotografiche e installazioni.

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Per la compenetrazione precisa nel testo delle varie poesie di questo volume credo sia utile soffermarsi sopra una sorta di dichiarazione di intenti iniziale redatta dalla stessa autrice, nella quale essa rivendica per il poeta quasi una licenza poetica

” di porre in condivisione, consacrare gli atomi esterni/
con l’intestino del mondo “………” assemblando pezzi di
un’immensa catena/ senza chiedere il senso “.

Ed è proprio la “condivisione” con la natura ed il suo mistero quella che sembra essere la cifra fondante della poetica della Paticchio.

La vita che pulsa sottoterra, quella che si intravvede nella corteccia di un albero, lo ” sfracellarsi ” ( sic ) della rugiada che”figlia goccioline “, sono gli elementi che costituiscono il nocciolo duro di una poetica che sembra semplicemente farsi strumento per osservare, registrare.

” l’Abitare d’ogni quieta creatura/ con un solo gesto di presenza ” ( Dendros_02)

Si potrebbe definire un occhio magico quello di questa autrice, uno sguardo da elfo, come appare nella poesia ” incipio ” :

” io non partecipo all’incipiere del giorno/ non odo i trilli delle albe pungenti/
ma dimoro soltanto/senza scissione di tempo/ nei luoghi estesi prescelti dalla mente “

Essa si figura quasi come una creatura immaginaria che ” nessun posto abitai per intero/ ma gravitante fui tra i boschi ” e conclude con un’affermazione che sembra essere la chiave

(ma non possiamo esimerci dal rilevare in essa il sapore di vago dannunzianesimo) della quale ci si debba servire per entrare nel suo mondo : ” Ciò che tremo in fondo è l’orlo/ non le cime più alte ” e ci sembra che in questa ultima sentenza siano espressi tutta la fierezza e l’orgoglio che già si potevano osservare nella prefazione ove si rivendicava :

“una giusta licenza spetta a te/ Individuo Pensante
che elevando la mente a poesia/esercita l’unica vera forma di/
Libertà Assoluta/ plasmare il proprio Infinito “

e successivamente il culmine della tensione morale-etica si toccava nella chiusa di un’altra poesia ove era asserito ” se la salvezza di un lume è esigere “.

Ma conclusione che esprime maggiormente il profondo senso del mistero che avvolge tutta l’intera esistenza
e quindi tutta la natura, è il finale della poesia “Eco di Fantasia” ove si legge questo finale dagli echi pascoliani

” ma in fondo è debole la mensa
e si resta in preghiera
nei nostri umili panni lisi “.

Immagine2

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Incipio

Io non partecipo all’incipiere del giorno
non odo i trilli delle albe pungenti
ma dimoro soltanto
nei posti estesi prescelti dalla mente
tengo la rotta scura del crescersi diverso
ho bocche da sfamare
come lupe d’inverno
espressioni aperte a colonizzare
le visioni di un insieme
orifizi tesi a cogliere il soliloquio
di un dialogo imperfetto
Imperfette Desinenze.
Nessun posto abitai per intero
ma gravitante fui tra i boschi
rigogliosi di un tempo
dove poggia il morbido piede
dorme il mio ventre allegro
sulle Tracce
dell’ombelico profondo
le andature distorco sul sentiero.
E se così pervenni alla nascita
a non sbavare i contorni
ciò che tremo in fondo è l’orlo
non le cime più alte.

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