Gabbiani ipotetici di Francesca Del Moro

Gabbiani ipotetici di Francesca Del Moro con note introduttive di Paolo Polvani.

  

Una bella ventata di energia creativa ci viene dalle poesie di Francesca Del Moro, che spinge il discorso nella direzione di una comunicazione piena, evidenziando, a un occhio attento, le caratteristiche di alto artigianato e di grande sincerità in cui si muove in ambito strettamente tecnico.

Si vedano i primi versi della poesia  A lei:

Sei sensualissima

mi hai detto e tutte le esse

sono scivolate su di me

come puntini della pelle d’oca.

dove il gioco di quelle sensualissime esse riesce a intercettare splendidamente l’atmosfera densa della comunicazione.

La sua scrittura colpisce direttamente al cuore, non lascia spazio alla finzione, nessuna concessione al vezzo letterario,  appare sfrondata da qualsiasi orpello.

Ma di contro nessuna apertura o ammicco alla sciatteria, all’improvvisazione, la  scrittura è sorvegliata nel lessico, nel ritmo, nell’impasto, frutto di paziente e costante lavoro. Indica una strada su cui indirizzare la poesia, di per sé artificio, finzione, e tuttavia in questo caso  cammino di estrema nudità.

Un’autrice da riproporre in dosi adeguate alla  bravura e al ricco ventaglio di temi di cui si sostanzia la sua poetica.

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***

A lei
Sei sensualissima
mi hai detto e tutte le esse
sono scivolate su di me
come puntini della pelle d’oca.
Sei bellissima
ti ho detto e il bianco del tuo corpo
mi faceva male agli occhi.
Anche tu
mi hai risposto e io mi sono chiesta
come poteva essere vero
e avrei voluto piangere.
Hai un buon odore
mi hai detto e io non ho risposto niente
perché mentre ti baciavo
la mia bocca era incredula
e il viso mi tremava.
Non voglio farti male
hai detto e poi lo hai ripetuto
e mi avevi morso un seno
e spinto le dita troppo a fondo
ma in realtà dicevi un’altra cosa.
“Ti amo” avrei potuto dirti
ma tu ti eri già alzata
e mi hai detto “Non innamorarti”
e poi “non essere gelosa”.

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***

Notte
Non ci separa nulla
adesso.
Tranne il fatto che tu vomiti
e a me il vomito fa schifo.
Però sto bene qui
anche se sono sdraiata per terra
e non chiudo occhio
perché tu gridi e ti contorci dal dolore
e proprio non ne vuoi sapere
di smettere di vomitare.
Sto bene qui
perché i quadri sopra il tuo letto
hanno colori che sfidano il buio
e dalla scrivania mi guarda
un Oscar Wilde
giovane e bonario.
E mi rassicura
vedere gli scaffali
e sapermi circondata
dalle parole di Dante e Leopardi
e dalle tue parole
e anche dalle mie
che avrai infilato lì da qualche parte
forse.

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***

Dimenticare Genova
A un certo punto
avevamo paura perfino
dell’aria, del cielo plumbeo,
degli elicotteri-avvoltoi
che ci sorvolavano.
Stavamo stretti
per proteggerci,
coi nostri sogni
in tasca insieme ai sassi
e ai pugni chiusi,
ci infrangevamo
come onde infilzate
da fili di vento.
Chi se lo ricorda, ormai,
per cosa marciavamo,
la giustizia globale,
come potevamo chiedere
tanto se nemmeno
su uno sputo di terra
c’è giustizia.
“Mi hanno schiacciato
la faccia con gli stivali”
racconta lei tra visi amici, dopo,
“sentivo il sangue in bocca,
le costole rotte, ho perso due denti,
ma”, dice e le si spezza la voce,
“non faceva male il corpo, era il cuore,
era il cuore a fare male.”

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***

3 settembre 2011
Ho fatto una scorpacciata di sushi
e poi sono andata in libreria
e mi è venuta in mente Amelia
e la tua poesia e tu che mi dicevi
ma come non l’hai ancora letta?
Proprio quella sera ho comprato il libro
su cui sto scrivendo e penso
che così in un certo senso
non ti ho lasciato solo
ad affondarti la lama nel petto
un mio pensiero era con te
mentre il tuo sangue sporcava lo specchio.

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