Intervista a Luca Rizzatello

Intervista a Luca Rizzatello, a cura di Claudia Zironi.

    

    

In questo Versante Ripido di Aprile dedicato al tema “RESISTERE” vi proponiamo un’intervista al poeta ed editore (Prufrock Spa) Luca Rizzatello, apparso già con sue opere in altri numeri.

    

Luca, iniziamo con una citazione?

Fate quello che vi dirà. (Vangelo di Giovanni, 2, 5)

      

Quando e come hai scelto di intraprendere la strada editoriale? Ma soprattutto: perché?

Ho sempre considerato i processi produttivi come un fattore centrale nel mio percorso di ricerca stilistica. Quando e come: nel 2010 ho cominciato a studiare circa la praticabilità del fondare una casa editrice, e nel 2012, insieme a Nicola Cavallaro, abbiamo deciso di trasformare il nostro laboratorio Prufrock spa (che risale al 2005) in Edizioni Prufrock spa. Perché: per quanto detto sopra, e perché ritengo che un catalogo editoriale si configuri come un dispositivo dotato di una complessità difficilmente raggiungibile attraverso l’operazione di scrittura di un libro (infatti io è un altro, ma fino a un certo punto), oltre che come una forma autoriale sui generis, e ripulita, nella più auspicabile delle ipotesi, dalle emanazioni narcisistiche, che trovo antipatiche e limitanti.

      

Come operi le tue scelte di pubblicazione?

Scegliamo di pubblicare i libri che secondo noi vanno pubblicati, e ci piace pensare che le collane possano rispondere a delle esigenze, ovvero a delle criticità, legate al mestiere della scrittura. Per esempio, prendiamo la collana Hence le joie (cito l’editoriale scritto per la presentazione della collana, che esprime chiaramente il concetto): considerando l’ecosistema dei libri di poesia, ci sono libri e libri. Ci sono: A) libri pensati sulla lunga distanza, organismi che trovano il loro punto di equilibrio nei rapporti tra le sezioni che li costituiscono; poi ci sono B) libri d’occasione ovvero on demand che trovano il loro punto di equilibrio nei rapporti con ragioni perlopiù accidentali. Considerando una autrice/un autore di libri di poesia mediamente consapevole delle proprie responsabilità, potrebbe darsi il caso in cui un gruppo organico di testi, formalizzato in origine come la sezione di un libro, diventi oggetto d’imbarazzo, rivelandosi non adatto a fare parte di un libro di tipo A) (perlomeno non naturalmente; esiste comunque il caso in cui una sezione S non adatta al libro L venga forzatamente inserita all’interno del libro L, magari perché, poniamo, le poesie erano troppo belle per lasciarle fuori) (esiste anche il caso in cui una sezione S del libro L sia qualitativamente superiore, per tensione/organicità/altro, alle altre sezioni del libro L; determinando, in sede di recensione, epiteti del tipo una gemma/una miniatura/un pezzo di bravura/il gran finale/altro), ma nemmeno riconducibile a un libro di tipo B) (salvo modifiche ad hoc, es. cambio di nomi di cose/ persone/animali/piante/città/mestieri/altro). Così C) hence le joie sarà costituita da libri che in un numero limitatissimo di poesie svilupperanno un immaginario profondo e autosufficiente.

     

Cosa significa oggi per un imprenditore dell’editoria, che sceglie la nicchia poetica, “RESISTERE”?

Mettendola sul piano dell’impresa, si potrebbe argomentare dicendo che ormai il mercato è fatto di nicchie, o di segmenti, e che la chiave sta nell’individuare le nicchie, o i segmenti, più adatti, per poi creare una identità forte al loro interno, e quindi generare un riconoscimento nei lettori, e quindi indurre un bisogno. Ma sappiamo bene che la nicchia poetica, o il segmento poetico, sono costituite da sotto-nicchie, o da sotto-segmenti, e così la questione si complica, e questo esercizio di posizionamento porta dritto al tema della scrittura nazional-popolare VS la scrittura non nazional-popolare (a cui peraltro avete dedicato un numero). Quindi se resistere significa raggiungere il punto di pareggio, e produrre utili, ogni casa editrice fa storia a sé, perché diversi sono i costi di stampa, i costi di gestione, gli stipendi eccetera, e suppongo che ciascuna casa editrice sia gelosa della propria ricetta per fare tornare i conti. Se invece resistere è da intendersi in senso qualitativo, es. per mantenere alti i propri standards senza scendere a compromessi (es. di compromesso: decidere ogni tanto di pubblicare a pagamento un libro che non si considera il massimo, ma che serve a pagarsi due bollette), entriamo nell’alveo del giudizio soggettivo; la mia impressione è che fino a qualche anno fa non erano molte le case editrici di poesia che applicavano una logica intransigente nei confronti delle produzioni totalmente a proprio carico (in altri termini: senza richiedere contribuiti economici da parte degli autori). Ma da quello che ho modo di vedere, mi sembra che in questo micromondo le cose stiano un po’ cambiando, c’è una rinnovata spinta all’investimento, e questo è un buon segno.

     

“There can be only one”? Domanda doverosa: che futuro vedi per l’editoria poetica in Italia?

Non ho mai avuto la vocazione a decapitare i padri, per almeno due ragioni: sono per la non-violenza e non li riconosco. Io credo che prima del futuro sia importante considerare il passato prossimo, e poi il presente; nel presente (che nel momento in cui uscirà questa intervista sarà da considerarsi passato prossimo) percepisco del fermento: ci sono nuove sigle editoriali che si propongono, e ci sono sigle editoriali meno nuove che fanno un po’ di restyling. Parlando del futuro, in entrambi i casi: leggendo i comunicati stampa del passato prossimo, un aggettivo ricorrente utilizzato per definire i libri di poesia in uscita, è onesto. Per quanto riguarda Prufrock spa, il futuro c’è finché si ha il privilegio di lavorare con le persone che si stimano; per esempio, con Roberta Durante, che cura il progetto grafico dei libri, e che fa della copertina il primo elemento di comprensione, che fa esplodere l’immaginario.

     

E la poesia? E’ “RESISTENTE” la poesia?

Mi riesce più facile parlare di libri piuttosto che di poesia, che è tutta relativa. La poesia è un codice, che come tale assume una funzione sulla base di necessità specifiche, e non necessariamente estetizzanti. Da qui la mia difficoltà a comprendere l’esercizio di una scrittura che per esempio, più o meno consapevolmente, rimandi a istanze civili doloristiche, che non fanno che spostare il fuoco dall’opera all’oggetto di cui l’opera tratta, azzerandone di fatto l’energia. In questo senso, proseguendo nel ragionamento, mi verrebbe da pensare che questa poesia, per esempio, si potrà considerare resistente fintanto che persisteranno ragioni di dolore esterne a essa. Quello che resterà nel futuro non credo sia prevedibile, ma è certo che se si scrive ritenendo il codice poetico come un dispositivo mnemotecnico, ci saranno più probabilità di ricordarlo.

       

Ci parli anche di Rizzatello poeta e scrittore?

Ho scritto due libri di poesia, che si intitolano Ossidi se piove (Valentina Edizioni, 2007) e mano morta con dita (Valentina Edizioni, 2012, con le incisioni di Nicola Cavallaro). Nel passato prossimo è uscito un libro intitolato Faria (dotcom Press), che ho scritto insieme a Giusi Montali, e che consiste in una serie di esperienze escapologiche, nessuna delle quali (lo dico con molta onestà) vissute da me: ci sono molti modi per fare della letteratura di evasione.

                      

 

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