Intervista a Pino Vetromile, a cura di Paolo Polvani.
Ritieni che la scrittura implichi in qualche modo un atto di fede ?
E’ una domanda, questa, molto particolare e potrebbe generare molte risposte e tutte diverse l’una dall’altra. Bisogna vedere cosa s’intende per fede. Personalmente, non scomoderei la nostra religione per prospettare un fine mistico o addirittura escatologico nell’attività dello scrittore, sia esso un narratore, un saggista o un poeta. Certo, ogniqualvolta si scrive, si “spera” che il proprio elaborato abbia un utile per se stessi e per gli altri, un utile non tanto dal punto di vista economico, ma piuttosto inteso come arricchimento personale e sociale, come “allargamento” della conoscenza, anche nelle sfere che toccano l’emotività e lo spirito.
Ma questo è normale e umano, non c’è bisogno, ripeto, di riferirsi al “divino”.
Ecco: direi quindi che lo scrivere, specialmente in poesia, implichi un atto di fede, nel senso che ho prospettato prima. Ma il discorso potrebbe svilupparsi ancora di più.
Pensi che il proliferare di blog e siti in rete aiuti a migliorare la qualità della poesia ?
No, non lo credo. E’ lo stesso discorso dei libri. Una grande produzione “libraria” non necessariamente aiuta a migliorare la qualità della poesia, e anche della narrativa. In teoria ci vorrebbe un “filtro”, e cioé i responsabili che gestiscono i vari blog, siti, ecc., dovrebbero fare un minimo di selezione; ma mi rendo conto che questa è una cosa molto difficile e sicuramente ci sarebbero delle lamentele. Così, si preferisce accontentare quasi tutti, nella maggior parte dei casi, puntando più sulla genuinità e sulla serietà del sentimento dell’autore, che sul suo effettivo talento letterario. Anch’io, gestendo il blog “Transiti Poetici”, mi sono trovato di fronte a simili “compromessi”.
In sostanza, ognuno dovrebbe essere giudice rigoroso di se stesso, specialmente in poesia. Ma questo particolare “equilibrio” è una prerogativa di quei poeti che consapevolmente sono giunti, dopo anni e anni di studi, di ricerche di stili più confacenti, di espressioni e di contenuti, a un livello tale che sanno già loro, in partenza, che cosa di buono stanno producendo in quel momento e se davvero vale la penna di renderlo pubblico o se conviene “limare” ancora un po’. Salvo casi di esagerata autocelebrazione, s’intende!…
Secondo te perché si produce tanta poesia, o almeno tentativi di poesia, ma se ne acquista e legge così poca ?
Non c’è tempo per leggere. E’ difficile leggere, è impegnativo leggere; leggere la poesia degli altri è interpretare un mondo sconosciuto, oltrepassare una barriera, esporsi, azzardarsi ad affrontare eventuali possibili ripensamenti, crisi e cambiamenti…
Scrivere, invece, è una necessità quasi primaria: è più semplice, intanto perché si tratta della propria verità, del proprio mondo, che bene o male pretendiamo di conoscere a fondo… E non importa se scriviamo male, l’importante è mettere nero su bianco, scrivere fatti e sensazioni dicendo poi che è un racconto o un romanzo; scrivere versi pregni di meraviglia e sentimento e dire che è poesia… Sbagliato, naturalmente, ma è così.
Ecco perché si scrive tanto e si legge poco!
Ritieni che in questa fase una critica selettiva potrebbe aiutare i lettori a fare chiarezza?
Non necessariamente. I frequentatori dei blog e dei siti di poesia sono in massima parte poeti essi stessi; cioé, “addetti ai lavori”. Però una buona presentazione, non tanto una vera e propria critica approfondita, una nota che spiegasse per sommi capi i contesti, le occasioni, la vita, le frequentazioni letterarie degli autori, potrebbe aiutare il pubblico (non esperto) a interpretare meglio i testi.
Esiste anche una responsabilità dei poeti nel tenere lontano il pubblico?
E’ indubbio che il poeta scrive soprattutto per se stesso, per spiegare a se stesso i misteri più profondi e sovente inconsci del proprio animo, per “vedersi” meglio, per “ascoltarsi” meglio, insomma per fare chiarezza nel turbinìo fermentante della sua personalità. Il linguaggio usato, a mio parere, non necessariamente deve essere chiaro o addirittura lineare, altrimenti tanto varrebbe scrivere un resoconto, una storia, un’idea, che è tutt’altra cosa rispetto alla “poesia”; ma la composizione poetica, e qui sta il grande pregio dell’autore, deve essere fortemente comunicativa, nel senso lato del termine, deve cioé essere penetrante, diretta, e in qualche modo sconvolgente: deve mirare diritta al cuore del lettore, deve “impressionare”.
Allora, è il pubblico che si deve avvicinare alla poesia, e non viceversa. C’è bisogno di maggiore educazione alla lettura e alla “fruizione” della poesia da parte del grande pubblico (non tanto all'”interpretazione”, quella magari viene in seconda battuta, volendo proseguire nell’indagine critica sui motivi che hanno spinto l’autore a scrivere proprio “quella” poesia e “come” l’ha scritta…).
Complimenti Giuseppe! Reggio Calabria ti ricorda sempre con affetto dopo la tua vittoria al concorso nazionale di poesie “Parole mai Viste”, la cui premiazione è avvenuta presso il Palazzo del Consiglio Regionale della Calabria- 2011. Un abbraccione