Le conseguenze della musica di Francesca Del Moro, Cicorivolta ed. 2014, recensione di Flavio Almerighi.
allo scorrere del suono
nato dal poeta
che non ho mai sentito
fino in fondo
(Francesca Del Moro)
Ogni cosa, animata o inanimata produce suono, fin dai rumori di fondo del big bang che ancora risuonano nell’intero universo. In questa fatica letteraria di Francesca Del Moro ho trovato il ritmo del cuore e il ritmo delle parole. In genere gli odori sono quanto di più evocativo per la mente umana, ma altre menti, quelle musicali adoperano i suoni come comunemente vengono adoperati gli aromi. Un continuo evocare immagini, passate, presenti, future nel bisogno di rimettersi in gioco per continuare a vivere. La poesia è una di queste musiche, un media potentissimo solo che gli si presti un minimo d’orecchio.
Una esempio lampante, quando ho letto per la prima volta questa poesia di Francesca del Moro,
Il tramonto guardato
dal marciapiede del binario 3
è sempre senza poesia.
Stanchezza, sudore,
passi inquieti avanti e indietro
e il treno che non arriva.
Scambio occhiate con chi capita
e avrei voglia di parlare.
Dai display nuovi di zecca
si alternano gli stessi spot
e un motivetto ipnotico
si ripete e si ripete
piantandocisi in testa. (…)
ma questa è Bologna Centrale mi son detto! Poi ho aggiustato il tiro, dov’è musica è dappertutto. Può sembrare retorico, ma è così. E in questo libro di musica ce n’è tanta. Francesca Del Moro, oltre che un’ottima poetessa, è un’acuta osservatrice di sé e di quel che le scorre intorno. Apprezzo la sua sensibilità e la musicalità dei versi. Trovo il suo scrivere autentico. Le Conseguenze della Musica, questo libro, non poteva non essere così. Leggendolo mi sono anche detto, mah forse poteva essere più breve, alla fine mi sono risposto che se non fosse stato così, questo libro non avrebbe la musica e la misura che ispira. Un diario in forma di Ellepì, un libro che è molto donna, e che sa mettersi a nudo. E’ una poesia che si immerge decisa nella scoperta di se stessa attraverso un deciso spelling delle impronte che lascia, una sorta di rincorsa al proprio io nella coperta del buco nero dell’esistenza. Una poesia che segue le capostipiti Sylvia Plath e Anne Sexton e che da noi ha avuto dei tentativi di imitazione tutti mal riusciti, perché non è facile imitare un tormento senza che vi sia sotto. In Francesca del Moro si sente invece il vissuto di ciò che scrive. Un bell’album di poesia, tanto per rimanere in musica, che consiglio alla lettura e alla rilettura.
Un’ultima annotazione, le poesie non hanno un titolo, le si potrebbe considerare un unico poema scandito dal ritmo del tempo e dei tempi.
Brani scelti:
Cosa non faremmo
noi
per un’imitazione d’amore,
un’impressione di tenerezza,
un abbraccio simulato,
qualche distratta carezza.
Cosa non faremmo.
***
Ti resto accanto
con l’ascolto, lo sguardo
che da lontano ti accarezza.
Porterò con me
tutta questa tenerezza
al nostro prossimo abbraccio
che tu scorderai, forse,
e io risentirò
un milione di volte.
***
Le schiene impaurite
sono curve sulle scrivanie,
separate dalle mura
della loro solitudine.
Ai bimbi porteremo
la minestra in tavola
e non insegneremo nulla.
Gli occhi fissi sullo schermo
aspettano solo la fine del giorno.
E io sulla tastiera batto
la mia rabbia senza sbocco.
***
In mancanza di un corpo
a contenermi
mi accoccolo nella tua voce
come fosse un grembo.
***
È sbagliato tutto,
il luogo, lo stato
civile, il sesso,
però io riconosco
il filo di aria nel petto
i miei occhi che cadono
sopra i suoi occhi chiusi
le parole che temono
di perdersi nel percorso
dalla mente alle labbra
le mani impazienti che
per non andarle incontro
inciampano l’una nell’altra.
***
Libri, dischi, cibo,
di qualcosa mi devo riempire.
Io sono così vuota,
sono così trasparente.
Ho provato anche
a fare delle cose
ma sono andate in pezzi.
Una voce così fonda
così fredda così disperata
come la tua, io non l’ho
mai sentita.
La musica non dovrebbe
essere questo, dovrebbe
essere un abbraccio,
dovrebbe essere un aiuto.
Invece tu apri un buco
nella stanza, mi apri
un buco in petto, e poi
mi tiri dentro.
***
Ti ho gettato
parole d’amore
come sassi contro
la finestra.
Prima timidamente,
per attirare la tua attenzione,
poi con sempre maggiore
violenza, le ultime
erano calde della rabbia
della mia mano, erano
umide di pianto.
Se solo tu apparissi
per un attimo a rivolgermi
uno sguardo di qualunque tipo
io prenderei bene la mira
e l’ultimissima parola
la scaglierei con tutta la mia forza
per mandare il vetro in pezzi
proprio dove c’è il tuo viso.
***
Con le forbici,
la lametta,
il coltello,
lo buco, lo taglio,
lo spello,
incido un rosso
contorno,
me ne svesto,
come un abito
alla fine del giorno,
mi tolgo di dosso
il mio corpo.
***
È tutto qui?
È davvero tutto qui?
Cosa?
La vita.
Cosa dici, figlia,
finché c’è la salute,
alzati, avanti, stira
quella pila di panni,
riordina la casa, non vedi
che è sporca, fa schifo,
approfitta del fine settimana,
da lunedì non ce la farai,
che devi andare al lavoro,
ringrazia iddio che ce l’hai
ancora, un lavoro.
da uno scambio di e-mail con l’autrice, è emerso che i punti di riferimento (avevo scritto Sexton, Plath) poetici li ho toppati entrambi. Rendiamo dunque a Bukowski quel che è di Bukowski: punto di riferimento dichiarato da Francesca del Moro
Ciao Flavio, no che non li hai toppati, magari il risultato di Bukowski filtrato attraverso una sensibilità che, ormai me lo hanno detto tutti, è molto femminile dà Sexton e Plath come risultato. Vorrà dire che tornerò con più attenzione a leggere queste autrici, un abbraccio.
ho voluto fidarmi del naso di Flavio, che in fatto di poesia, capisce parecchio, e devo riconoscere che non si è sbagliato.
Forse Bukowsky ha influenzato l’autrice, ma non lo avrei mai detto,
leggendo questi testi, non saprei dire quali siano stati gli influssi poetici
che l’hanno spinta a questa scrittura, di certo so che devo assolutamente procurami il suo libro e leggero, perchè chi è capace di
questi versi, lo merita :
Cosa non faremmo
noi
per un’imitazione d’amore,
un’impressione di tenerezza,
un abbraccio simulato,
qualche distratta carezza.
Cosa non faremmo