L’ironia è una cosa seria, rubrica di Natalia Bondarenko: Guido Catalano.
Benvenuti nella rubrica che parla di cose serie: parla d’ironia. Perciò, benvenuti nell’ironia. Entrate dentro senza diffidenza e senza pregiudizi. Sorseggiate la leggerezza utile a nascondere (magari, per pudore) la profondità della vita, usate la vostra immaginazione e cercate di non prendervi troppo sul serio perché in questo spazio c’è posto per qualsiasi espressione ironica e anche quella, ancor più rara, autoironica: esagerata, colta, improvvisa, spumeggiante o docile e lirica.
Benvenuti nello spazio dove non troverete mai le poesie di Sanguineti, Szymborska o Bukowski. «Vabbè», direte voi, «non sarebbe mica male?» Ma di loro è già stato detto/scritto tutto e anche di più. Infatti, non c’è niente di nuovo, nessuna novità sconvolgente, nessun miracolo letterario, niente di codificato come 2.0, perché la poesia ironica esiste da sempre. Ma c’è una percentuale minima di poeti che la scrivono. Perciò, benvenuti nello spazio di pochi, scelti… e viventi!
(Come vedete, la battuta vale non solo per i pittori…) N.B.
L’ospite di questo mese è Guido Catalano.
“Troppo poetico per i cabarettisti, troppo cabarettista per i poeti, Guido Catalano è un funambolo della parola, un cantautore in cerca di cantanti, un paroliere a piede libero”, cosi lo definisce Luca Mastrantonio in un suo articolo sul CORRIERE DELLA SERA. Infatti, Guido Catalano, grazie alla radio, e poi a Facebook, è diventato probabilmente il poeta vivente più amato dagli italiani. I suoi libri di poesie vendono decine di migliaia di copie e finiscono in classifica. Sto ancora aspettando il suo ultimo libro ordinato (la sua ristampa) “Ogni volta che mi baci muore un nazista” edito da Rizzoli nel 2017 e già scomparso dagli scafali delle librerie. È un libro che ho cercato di scoprire tramite il WEB, anche se quest’oggi non voglio soffermarmi soltanto sul suo ultimo lavoro. Tutta la sua poesia merita una attenta analisi ‘clinica’ vista la sua unicità che lui stesso, con una certa saggezza (sempre sul Corriere della Sera) spiega con una semplicità disarmante, cercando di istruire i poeti desiderosi di fare un percorso di successo:
«Essere sinceri. Leggere molta poesia. Baciare molto e molto fare all’amore. Leggere ancora molta poesia. Usare i social in modo intelligente, divertendosi. Trovare una casa editrice seria non a pagamento. Andare in giro a leggere le tue poesie in pubblico. Farsi il mazzo».
Di sé, invece, parla molto spesso nelle sue poesie. E’ qua che il mio interesse si rafforza, perché l’autoironia nella sua poesia è oro, ‘luccica’ molto e ha un ‘prezzo’ molto alto, dove Catalano riesce a creare con poche frasi un quadro, “olio su tela”, un’espressione molto usata sui social per descrivere una cosa concreta ed evidente: non sono bello / non lo sono mai stato / e non lo sarò mai / e non sarò mai neanche buono / non scriverò mai poesie civili / sono incivile fino al midollo
o
…i miei esami del sangue mi danno per astemio
curioso, no?
probabilmente c’è stato uno scambio di provette
e non risultano neanche le tre o quattro malattie mortali
che ritenevo lecito di avere
Non so se esiste una biografia ufficiale, ma magari è meglio così perché per capire Catalano-personaggio, possiamo soffermarci sulla sua autobiografia:
“Nasco a Torino nel 1971 e sono ancora vivo. Ultimamente ho fatto gli esami del sangue e risulto quasi astemio anche se non ha senso. Ho scritto sei libri di poesie, l’ultimo dei quali si intitola “Piuttosto che morire m’ammazzo” per i simpatici tipi di Miraggi Edizioni. Il penultimo invece si intitola “Ti amo ma posso spiegarti” e lo stanno comprando in molti, il che è un piccolo miracolo se si considera che stiamo parlando di poesia. E siamo pure in Italia. Per vivere mi esibisco in strabilianti reading dovunque mi sia concesso. Ne faccio oltre centocinquanta l’anno, il che a pensarci bene è una cosa pazzesca. Ancor più pazzesco è che io non sia ancora diventato ricco e che, come si diceva all’inizio, sia ancora vivo.”
Io aggiungerei anche un frammento di una sua poesia
– sono un pagliaccio
spero, prometto e giuro
cose che non so fare
e che non faccio
ma è soltanto per completare il ritratto caratteriale del poeta.
Parlando, invece, di ironia, la sua poesia io la dividerei per temi, cioè, inserirei sempre la parola “ironia” ma cambierei aggettivo. Per esempio, ironia nera (non so se esiste questa espressione ma leggendo Catalano, un po’ di umor nero, ironia dark viene notata all’istante):
…la Morte vi ha mai mandato un sms?
a me no
ma mi piace pensare che
prima di venire a prendermi
lo faccia
“fra un paio d’ore son da te, saluta tutti e vestiti comodo”
o
…e poi l’altra sera un uomo barbuto pelato
dopo avermi ascoltato
mi ha detto:
“bravo ma dovresti essere più ottimista in quel che scrivi”
o
…era notte, credo
quantomeno buio
o forse indossavo occhiali da sole
probabilmente tenevo gli occhi chiusi
o ero morto…
Questa mi piace molto e fa parte di tre poesie legate fra di loro, è una specie di tre morti; qua vi metto un frammento di un’altra:
…l’uomo che morì di cassata siciliana
morì dopo aver mangiato nove chili di cassata siciliana
in meno di due ore
non sappiamo perché lo fece
ma sappiamo, grazie a un testimone affidabile
che le sue ultime parole furono:
“comunque, checché voi ne pensiate, ne ho apprezzato il sapore fino alla fine”
In una delle sue poesie “i tram di notte non schiacciano nessuno” la questione è molto accentuata:
..la cosa entusiasmante del cadere in bici nella notte
è il silenzio
eccellente è il potere antidolorifico dell’alcol nelle vene
se passava il diciotto ero morto…
Vorrei sottolineare l’importanza dei titoli dal respiro quasi sempre ironico, direi, che basta soltanto il titolo per capire il resto. Se mettessimo tutti i titoli delle sue poesie insieme, probabilmente verrebbe una bella poesia da ascoltatare perché le poesie (si sa) si dividono in quelle che fa piacere leggere con gli occhi e in quelle di cui potresti volentieri fare a meno perché se trovi un poeta come Guido Catalano chiamato negli ambienti il “Jerry Calà della poesia”, puoi tranquillamente fidarti di quello che senti. In linee generali, la sua poesia è fatta di frasi elementari, semplici, senza nessuna elaborazione linguistica, ma cervellotica nella sostanza. La scrittura minima che disarma e commuove.
Tornando all’ironia…questa volta Ironia pacata nella quale la semplice riflessione diventa un gioco linguistico:
…tutto ciò che poteva accadere è accaduto
tutto ciò che mi potevi dire me l’hai diciùto
Poi, Ironia ‘maleducata’:
…poesie d’amore ne ho scritte a strafottere
e
in buona sostanza
quel tanto o poco che ho fottuto
ho fottuto grazie alle poesie d’amore
o
…e avrei potuto dirti
di quell’esatto attimo
in cui
ci si rende conto che tutto
può andarsene a fare in culo
esattamente
in
un attimo…
o
…non son cattivo, forse un po’ pazzo
son qui questa mattina
che sparo rime a cazzo…
( “No, “cazzo” non lo tolgo”, precisa l’autore “mi dispiace, al limite non la leggo davanti ai bambini e alle signore ma “cazzo” non si tocca”.)
O perché no, ironia di protesta, più che nuda e cruda; quasi oscena ma con una certa dose di riflessione sui tempi moderni, probabilmente esagerata; io poesie così le chiamo ‘sfoghi’ ma nel contesto di una poesia intera sicuramente trova il suo senso:
…cerco di scrivere con un fucile a pompa
per sfracellare le teste dei morti viventi camminanti
o
…fumo digitale
chiavo analogico
bevo intrugli rossi ghiacciati gastroaggressivi
mi masturbo a scimmia meccanica
ho appena attivato la ricezione dei miei aggiornamenti pubici
Lo stile (a tratti) ricorda Charles Bukowski: …confesso / il mio cuore è un cesso otturato / adesso / ci vorrebbe un professionista / dello spurgo pozzi / ma di quelli bravi / quelli col pompazzone a risucchio idraulico…
Chi ha amato Bukowski, (ed io lo amo) non può non fare delle associazioni e individuare facilmente il tema che accomuna entrambi i poeti: la donna. Catalano è un poeta d’occasioni amorose, più o meno mancate, ironie amorose presenti: …odio dirti ciò che vuoi sentirmiti dire…
o
…ricordo / che la tua pizza preferita era al prosciutto e funghi senza funghi
o
ti cucirei un vestito
fossi capace
ti cucirei un vestito di poesie calde
che ti scaldassero il tuo corpo
quand’anche camminassi nella neve
quella più alta
più bianca
quella che mai
o
…non alzavi mai la voce / sapevi odiare benissimo con gli occhi
o
…a presto, zucchero
sii coraggiosa
assumi pochi fritti
pensami talvolta
e fai all’amore più che puoi
In quest’ultima l’influenza di Bukovskij è palese; si capisce che la parola ‘Baby’ è sostituita con ‘zucchero’ che permette a Catalano di avere la sua propria cifra, per la gioia di chi non conosce per niente Bukovskij. Ma, probabilmente, il ‘primo amore’ non si scorda mai e ad un certo punto ci ‘casca’ in pieno:
…sedurmi abbandonarmi risedurmi
per poi riabbandonarmi
come un cane sulla camionale?
si può fare, baby
bada però che poi
se ritrovo la strada verso casa…
L’ironia sui poeti è dissacrante:
…la poesia al femminile / mi trapana di noia / senza anestetico…
o
…poeti che abbaiano è pieno / di meno / cani che scrivono poesie oneste
o
…avete mai sentito un’ape tossire?
io sì
alla fine è questo che fa la differenza in poesia
in amore no
Si capisce che Catalano cerca le forme scenografiche, vuole stupire e ‘colpire’, ‘assalire’ il lettore quando non se lo aspetta.
“Ricevo il sostegno da parte di chi mi dice “hai avuto il coraggio di dire qualcosa che pensavano in molti”, si confida Guido in una delle sue interviste. La capacità di ‘fotografare’ mentalmente le situazioni con un linguaggio semplice e bilanciato risulta vincente. Anche se in apparenza la sua poesia può risultare provocatoria, alla fine risulta perfetta per il messaggio racchiuso nel suo interno.
Ora Catalano è un uomo di spettacolo con molte partecipazioni ad eventi pubblici, televisivi e un seguito straordinario in rete. I suoi testi sono molto presenti e potete ritrovarli sul suo sito visto che in questo articolo non troverete neanche una poesia intera.
P.S.
Il 20 gennaio 2018 ha avuto inizio il primo tour nazionale di Dente e Guido Catalano, dal titolo “Contemporaneamente insieme”.
Rime semiacustiche, metafore in quattro quarti danzano, dando vita a uno spettacolo inedito ed estremamente originale con la regia di Lodo Guenzi de Lo Stato Sociale.
Non un reading, non un concerto, non una commedia dialettale e nemmeno uno spettacolo circense, non un balletto, un workshop, uno spogliarello burlesco e neppure una dimostrazione di prodotti di bellezza o aspirapolveri: il cantautore emiliano e il poeta torinese incrociano chitarra e penna, per parlare d’amore a modo loro.
Guido Catalano è un talento letterario, scrive per Il Corriere della Sera – pagine di Torino e collabora con Smemoranda. La sua scrittura è ciò che più si avvicina al mondo della musica.
Dente è un nome di punta della musica italiana, un cantautore dal linguaggio raffinato, dotato di grande originalità e di un indiscutibile talento. La sua musica è ciò che più si avvicina al mondo della poesia.
Penso che i testi riportati denotino sicuramente una certa capacità tecnica e di manipolazione del linguaggio, ho qualche dubbio nel ritenerli poesia in senso stretto. Ma è utile confrontarsi con queste modalità espressive, che hanno comunque diritto di cittadinanza nel mondo della scrittura in senso lato. Rappresentano comunque uno stadio di elaborazione del linguaggio comune o abituale. Se si tratti di letteratura è altra questione (ma questo vale anche per molti altri autori o lavori specifici di autori che ben consolidati nel mondo della fiction o del teatro spesso conseguono risultati dubbi se approcciano il mondo dei versi…)
Purtroppo nei tranelli si cade sempre. Altrimenti non si spiegherebbe la crisi politica attuale, Le condizioni del pensiero, dunque del linguaggio, dunque dell’azione. Deleterio Catalano, perché non apporta nessuna novità, nessuna qualità, nessuna creatività nel pensiero e nel linguaggio. Perfettamente aderente al vuoto non creativo, improduttivo e riempitivo di questi tempi. Pericoloso non per la poesia, che tanto è innocua, ma per il pensiero critico, per la capacità della poesia di far vedere non questo ma “altro”, di andare a pesca in mari più profondi, di avvelenare i pozzi. Ma tant’è. Se non si è perfettamente dentro si è fuori, e fuori, volentieri, non ci sta nessuno.