OHENTONKARIWATEHKWEN. Le parole che vengono prima di tutte le parole, di Sandro Pecchiari.
Quando un nome viene dato, vengono date anche lʼazione e la visione che esso contiene. Nomi, che noi potremmo considerare lunghi, colgono lʼessenzialità del rapporto tra creatura e natura. Nomi che sono attenti al momento in cui il nome stesso viene dato, in perfetta armonia e nel rispetto sacro dellʼambiente e delle persone attorno. Il nome del benvenuto celebra lʼingresso nella comunità e viene scelto in modo affatto differente dai nomi delle culture occidentali.
Stiamo parlando dei Native Americans naturalmente e del loro modo di descrivere il momento del dono del nome, collegandolo alla realtà, alle parole e allo stato dʼanimo di quel momento.
In lingue in cui il sostantivo tende a non venire mai separato da una possibile azione e tende addirittura a non esistere separatamente da una serie di possibili azioni, si può comprendere più facilmente la traduzione nelle nostre lingue di nomi che a volte devono venire resi con intere frasi. Ne abbiamo tutti fatta lʼesperienza con Balla coi Lupi, nome che comunque non esiste e che è stato inventato per il film, fortemente condizionato dal senso estetico anglosassone.
I nomi in queste culture devono essere chiari, comprensibili e di sicura provenienza a differenza della tendenza occidentale ad usare nomi di significato sconosciuto. Alcuni esempi chiariranno questo aspetto così diverso dalla nostra tradizione, basata sull’antichità classica, sulla Bibbia, sulle vite dei santi, sulle invasioni barbariche, e così via.
Nei nomi che si donano alle bambine si riflettono molto spesso le condizioni atmosferiche o vi vengono descritti il paesaggio circostante del momento o le azioni che vi si svolgono o i sentimenti e i pensieri e gli auguri che si offrono, come in:
AHYOKA: Cherokee: Portatrice di felicità
AIYANA: Fiore che sboccia per sempre
AMADAHY: Cherokee: Acqua della foresta
BYHALIA: Choctaw: La quercia bianca che si staglia laggiù
HAKIDONMUYA: Hopi : Il tempo della luna dellʼattesa
HUYANA: Miwok : Pioggia che cade
KIWIDINOK: Chippewa: La donna del vento
LOMAHONGVA: Hopi : Nuvole splendide che sʼinnalzano.
I bambini vengono spesso collegati ai differenti aspetti della foresta e agli animali, alle azioni utili alla tribù, ma la differenza non è mai così rigida:
ARRE-CATTE WAHO: Omaha: Grande alce
CHAVATANGAKWUNUA: Hopi: Breve arcobaleno
DONEHOGAWA: Seneca: Colui che protegge il cancello del tramonto
KAJIKA: Cammina silenzioso
MOLIMO: Miwok: Orso che cammina nellʼombra
TUMU: Miwok: Cervo che si mangia le cipolle selvatiche
YISKA: Navajo: E’ finita la notte
Lʼaspetto che più confonde noi occidentali è il fatto che il nome deve rimanere unico nella tribù e ci si premura di non creare omonimie. Per questo motivo, alcune tribù, gli Omaha ad esempio, nominano uno sponsor che se ne assicuri. Spesso però il nome rimane segreto per evitare possibili influenze maligne e lo si cambia con un altro nome per la stessa ragione. In questo, grande parte hanno i nomignoli. Inoltre, secondo un concetto della storia piuttosto differente dal nostro, a seconda delle fasi della vita o di accadimenti precisi come nei riti di passaggio, o inaspettati o straordinari, la persona viene modificata e conseguentemente modifica il proprio nome o gli viene modificato dagli altri componenti della tribù. Le donne tengono lontane le influenze maligne con una metodologia opposta: chiamandosi spessissimo con lo stesso nome non sono individuabili dalle cattive influenze.
A differenza del concetto di storia occidentale che procede lungo un asse preciso tendente allʼinfinito, il concetto di storia dei Native Americans tende ad essere un cerchio in cui tutto ritorna allo stato iniziale. Con questa visione, lo spazio abitato, le persone e gli accadimenti si sviluppano e tornano su se stessi in un tempo più o meno prolungato.
Leggendo la letteratura delle First Nations principalmente del Manitoba dove abito spesso, visitando le sezioni del WAG (Winnipeg Art Gallery) riservate alla loro produzione artistica, viaggiando verso nord dove il tempo è un muro di difficoltà e di stupore, ho scritto alcune cose suggerite da una cultura estremamente differente dalla nostra e estremamente affascinante. S.P.
TALKING
Lingua che si veste di frammenti
e si specchia a ping pong tra continenti,
ora incrostata di sorrisi e gesti,
dentro una mappa d’alfabeti altrui
in cui tutto risuona inadeguato.
E che confonde le parole d’ogni giorno
con gli afrori e le spezie dei racconti.
E annaspa e sigla mappe d’autobus e di treni,
e riannoda con verbi sconosciuti
posti di case e fiumi e shopping malls.
In un esterno da film di fantascienza,
si disperde il confronto col saputo
in questo sfaccettato transito di suoni
che gioca a dadi con la parola detta.
*
VOCABOLARIO
Quali sono le parole per questo cadere
di foglie e rami, per trascinarli a valle?
Per questo rimboccarsi di luce così esigente?
Succede da sempre, tanto vale definirlo ancora.
Parole antiche sono fluite
con la clorofilla,
lo sbocciare nell’ombra
la frescura.
Sono passate con le carovane,
le pelli,
il sesso del dovere,
la stanchezza impolverata dai fucili.
Sono rimaste come gli occhi,
i tuoi,
se ti soffermi sui miei piedi nudi,
le tue dita picchetti d’una tenda tinta
contro la notte d’argento e d’ossa.
Quale vocabolario le contiene tutte?
E le salva.
O forse le parole sono scherzi del silenzio
e carezzare le cose con dei nomi
non è che definirsi in uno spazio
e richiamarsi.
*
LA MIA STORIA
donami le radici dei migranti
per incidervi insieme le emozioni
di chi dipinge i canti
radici che dimorino
nella più vasta corsa senza briglie
che intreccino un nido
sul cristallo indomabile degli occhi
che disciolgano sotterranee
il labirinto di vento dei deserti
l’annodarsi antracite delle acque
dammi radici nella corrente al largo
– il suo non visto oscuro parlottare –
radici a rafforzarmi nello scudo
inaspettato e forte di foreste
le mie radici ora scendono a patti
col rarefarsi della passata
presunzione del già fatto…
dammi radici con lo sguardo dritto
che rotei e affondi verso l’alto
dammi radici come frecce
che fissino il dio della vertigine
e fai che risultino retrattili
quando sarò alla fine
*
LA VIA LATTEA SOPRA IL MANITOBA
Basta lasciare che la sera s’infili nella notte
appena tracciata da suoni di zanzara,
da qualche rospo, satellite, stella che cade
e l’antico sfarzo riappare.
Meglio ancora se la terra si srotola in pianure
di verde danzante che svanisce nel nero
e ci cancella.
Oltre le strade che districano il terreno
la città è una sottile alba d’elettricità,
ma qui siamo nel punto preciso
in cui ci sopprime il tempo.
E la luce dissemina l’infanzia
riportando nonni illustrativi o madri
che ci pascevano con le storie delle stelle.
I trucchi addormentati si raddrizzano
e snidano le orse, l’α Ursæ Minoris,
cavalcando la giostra delle costellazioni
in questa fiera di campagna sepolta nella colza.
E ci sovvengono i nomi dei differenti bagliori,
le fatiche, gli affanni, le ricerche,
gli amori che ci schiudono all’interno,
se scruti attentamente
così che risorgiamo
Ercole, il Cigno, la Lira o l’Aquila.
E guidati dall’applicazione dell’iPad,
pulsiamo nel buio come lucciole,
come magi alieni rabdomanti di costellazioni.
*
OHENTONKARIWATEHKWEN
le parole che vengono prima di tutte le parole
Se essere polverosi di distanza
e rallentati e punti dai cespugli
ci fa avanzare nonostante –
alla malora i vestiti e le paure.
Brandirò per te una piuma
per addolcire il viaggio terminato,
solleticarne via le scorie;
spiegherò una pelle di camoscio
per sgualcire le lacrime che offri
e lisciare la bellezza tra di noi;
e acqua per dissetare le parole
e dilavare il dolore dalla gola.
Le parole…quelle giuste,
quelle prima di tutte le parole,
prima del cibo, del cammino sperso,
lo stupore di questo mondo dentro l’aria,
prima del primo passo
dentro a un altro viaggio.
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Sandro Pecchiari è laureato in Lingue e Letterature Straniere, con una tesi sull’opera poetica di Ted Hughes.
Ha pubblicato tre raccolte per Samuele Editore di Fanna, Pordenone: Verdi Anni (collana Scilla 19, marzo 2012), Le Svelte Radici (collana Scilla 33, dicembre 2013) e LʼImperfezione del Diluvio – An Unrehearsed Flood, in versione bilingue (collana Scilla 44, ottobre 2015. Questa sua terza raccolta completa la trilogia. Le sue sono state lette e presentate nel programma Le Parole Più Belle, Telecapodistria, Slovenia, nel 2014 e 2015.
Suoi lavori sono apparsi in numerose antologie (fra cui la Collana dei Poeti Contemporanei 2013 e 2014, lʼAlbanian Antologjive Poetike Universale Korsi e Hapur – Open Lane 2014, Revija SRP, Ljubljana, oktober 2015, ) e sono stati presentati al New York City Poetry Festival 2014, alle Residenze Estive 2014 e 2015 presso il Castello di Duino e a Ritratti di Poesia, Roma 2015.
Un suo scritto è presente nel libro Lettere – a te, Samuele Editore, febbraio 2012.
Alcune sue opere suoi sono state tradotte in inglese, in albanese e sloveno.
Alcune sue traduzioni dall’inglese sono visibili nel sito della casa editrice Caitlin Press, http://caitlin-press.com/al-rempel-in-translation/
È membro della giuria della Festa della Letteratura e della Poesia di Duino e collabora con le riviste Traduzionetradizione (Press Point, Milano) e L’almanacco del Ramo d’Oro (Trieste).