Il potere della chiamata, poesie di Paolo Gera

Il potere della chiamata, poesie di Paolo Gera

       

 

In questa ‘composizione’ ho cercato di analizzare attraverso due materiali testuali messi a confronto, il potere della voce distante e anonima, quella del Dio biblico del “Libro di Giona” e quella del curatore del gioco assassino “Blue whale”, che circa un anno fa circolava su Internet. Il Cielo e la Rete sono spazi vuoti e i messaggi sembrano essere tanto più affidabili quanto più la fisicità si eclissa, quanto più non identificabili i luoghi da cui provengono. Questa è la grande forza e il grande inganno della divinità. Dai tempi più remoti sino a oggi, il potere si è servito dell’assenza, del suo essere irraggiungibile – si pensi all’opera di Kafka – per manipolare la mente di chi crede nell’esistenza dell’Assoluto e pensa sia inevitabile l’obbedienza a ogni tipo di ordine, anche quello inaudito che pretende di porre fine all’altrui o alla propria esistenza.

         

È arrivato l’amico per parlarti,
è a te di fronte,
ne senti il fiato caldo sulla faccia.
Ecco, ti stende le braccia sulle spalle,
la sua pupilla diventa il tuo specchio,
puoi vedere le sue labbra che si muovono,
ma le parole ti cadono ai piedi,
mentre i tuoi sandali spostano la sabbia sugli sputi.
I tuoi pensieri ti portano lontano,
ti alzano da terra oppure ti sprofondano,
non ascolti parole, eppure è così vicino,
vicino la distanza di un coltello.
Ho finto di non aver ricevuto,
anche se la voce l’ho sentita bene.
Arrivava dal cielo, aveva scavalcato Sirio,
trapassato le Pleiadi,
mi aveva sorpreso come un tuono mentre lucidavo le fiocine.
Era la voce di uno sconosciuto e mi scriveva
chissà da dove, un luogo inaccessibile.
E se le labbra non si vedono e il volto neppure sai se esiste,
come fai a rifiutare il messaggio, a distogliere gli occhi,
a bloccare il contatto?
Più arriva da lontano, più l’ordine è chiaro e indiscutibile.
Bisogna credergli.
Ti dice di portare il tuo ragazzo sul monte,
di legarlo alla pira, di tagliargli la gola.
Ficca la lama nella tua carne e non impietosirti
se i suoi occhi, i tuoi occhi si velano.
Fa male, molto male, è insopportabile?
Sei nel giusto. Accedi a un livello superiore.
Come si fa a non dare seguito
se la voce che ordina è remota, invisibile?

Più lontana la voce e più è vicina al cuore e convincente.
Mi diceva di trovare la metropoli,
da una fermata all’altra tre giorni di cammino
– così era grande –
di andare fra gli uomini e di parlare vicino.
Parlare vicino è come dire niente,
se i pensieri li portano lontano.
Il curatore non mi ha dato il suo dono:
la voce chiara e forte dell’irraggiungibile.
Io ho finto di non sentire, come fosse un amico
non gli ho dato retta.
Ho preso la mia nave e sono andato via,
a caccia di creature degli abissi,
di balene azzurre come il mare.
Mare in tempesta, giù tra le onde, inghiottito dal pesce.
E là dentro quella voce lontana mi separava dal pesce
come lettere divise e ben scandite.
Mi risputava fuori, mi ridava la vita.
Già sulla spiaggia mi sono tatuato la balena,
con un ago ho bucato la pelle sul braccio, punto dopo punto,
sino a formare un profilo perfetto.
Non troppo sangue.
Mi sono tatuato la volontà di Dio.
Ho ascoltato il messaggio.
Sono salito sull’One World Trade Center
e da quell’altezza ho guardato la metropoli e ciò che mi attendeva.

La forza di una voce senza volto
merita che io mi pieghi ad ogni suo volere.
Più grande è la distanza, maggiore è l’ubbidienza che io devo.
Più nulla devo immaginare: ordine nel mio ozio, piani da eseguire.
L’aspro miele del tutorial mi cola sulle orecchie e sopra gli occhi.
Il capobranco non mi caccia via.
Il curatore è Dio, io sono la bestia mansueta.
Spinte, carezze.
Io mi abbandono alla sua volontà.
Gli cedo con gioia il mio corpo e la mia mente.
Gli ho lasciato la casa.
Il curatore entri, è a sua disposizione.
Se tutto brucia o sgorga sangue dalle tubature,
io sono fuori e faccio festa.
Ora sono un bambino.
Aspetto qualcuno che mi dica.
Parole precise, dettagliate, le regole di un gioco.
Non sono io a inventarlo, non sono io a deciderlo.
Generazioni di adulti hanno chinato il capo, taciuto e obbedito.
Perché stupirsi che lo faccia un bambino?

Inciditi sulla mano con il rasoio “f57” e invia una foto al curatore.
Alzati alle 4.20 del mattino e guarda video psichedelici e dell’orrore che il
curatore ti ha inviato direttamente.
Tagliati il braccio con un rasoio lungo le vene, ma non troppo profondi.
Solo tre tagli, poi invia la foto al curatore.
Se sei pronto a “diventare una balena” inciditi “yes” su una gamba. Se non
lo sei, tàgliati molte volte. Devi punirti.
Devi svegliarti alle 4.20 del mattino e andare sul tetto di un palazzo altissimo.
Inciditi con il rasoio una balena sulla mano e invia la foto al curatore.
Procurati dolore, fatti più male.
Il curatore controlla se sei affidabile.
Alzati alle 4.20 del mattino e va sui binari di una stazione ferroviaria.
Non parlare con nessuno per tutto il giorno.
Fai un messaggio vocale dove dici che sei una balena.
Ogni giorno svegliati alle 4.20.
Guarda video horror.
Ascolta la musica che il curatore ti manda.
Fatti un taglio sul corpo al giorno.
Parla a “una balena”
Sali sull’edificio più alto della città. Avvicinati al cornicione. Buttati di sotto. Rendimi la vita.

       

(Paolo Gera, Libro di Giona, da “Poesie per Recaptcha”, Oedipus edizioni, Salerno 2018)

 

Mahatma Gandhi, visita al King Edward's College, 1938, a new bureau photo - www.columbia.edu pubblico dominio - in apertura Gandhi viaggiatore in terza classe, Photo Division, Ministry of Information & Broadcasting, Government of India, pubblico dominio
Mahatma Gandhi, teorico della resistenza all’oppressione tramite la disobbedienza civile, padre della nazione indiana, in visita al King Edward’s College, 1938, a new bureau photo – www.columbia.edu pubblico dominio – in apertura Gandhi viaggiatore in terza classe, Photo Division, Ministry of Information & Broadcasting, Government of India, pubblico dominio

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