Ritmi nuovi su una vecchia ballata: apprendisti stregoni, indiani e cretini sulla via del socialismo, di Luca Mozzachiodi

Ritmi nuovi su una vecchia ballata: apprendisti stregoni, indiani e cretini sulla via del socialismo, di Luca Mozzachiodi.

    

    

Il vecchio stregone
finalmente è andato via,
or gli spiriti agiranno
per volontà mia. (J. W. Goethe)

      

Sicuramente è quello che avrà pensato tutta una generazione e forse più di una di fronte al mito del benessere economico per tutti, dell’automazione che libera dalle costrizioni del lavoro, del progresso scientifico senza frontiera e senza problemi irrisolvibili. Soggettivamente l’essere sommersi di merci dà o dava l’illusione della libera scelta di consumo e l’idea che il modo di produzione fosse talmente raffinato da calcolare ormai al millimetro i termini di possibilità di scelta procurava più il conforto di sapere che per qualche via le cose sarebbero rimaste tali o sarebbero andate meglio piuttosto che il sospetto sulla natura fittizia di tale libertà.

Certo queste erano favole di qualche decennio fa, nessuna persona di buon senso oggi azzarderebbe un tale ottimismo sulle condizioni presenti, a maggior ragione la mia generazione (o per dir meglio quella parte della mia generazione che sceglie di alzarsi dalla culla a una certa età) non ha mai potuto raccontarsi compiutamente questa favola. Oggi è più che mai evidente che non solo gli spiriti evocati non ci hanno obbedito, ma che ad ogni anno che passa gli apprendisti sono meno capaci di controllarli.

Troverete questa calzante immagine in un vecchio libro che forse qualcuno ha in qualche cassetto o nella seconda fila della libreria dove lo ha prudentemente riposto proprio negli anni in cui a questa promesse de bonheur si cominciava a credere: Il Manifesto. Cosa ci dicono in queste pagine Marx ed Engels sulla vecchia ballata di Goethe? Che la borghesia, cioè la classe che storicamente ha prodotto sulle ceneri della vecchia società la società capitalista e il suo modo di produzione, è come l’apprendista stregone che non controlla le forze che ha evocato a suo vantaggio.

L’immediata conseguenza di questa lettura, cui una lettura del primo volume del Capitale dà le ragioni fondamentali articolando l’analisi dei processi di produzione delle merci e di funzionamento del rapporto merce-lavoro, vuol dire essenzialmente che la borghesia, i capitalisti, o se si preferisce le classi dominanti rispetto alle classi inferiori, non si comportano socialmente come si comportano perché sono cattive o avide (possono esserlo soggettivamente ma non diversamente possono esserlo gli appartenenti alle classi lavoratrici), ma perché sono il frammento superiore, vuoi privilegiato, vuoi parassitario, vuoi sfruttatore, di un sistema di cui essi sono anche parte e non mano sulle leve di comando, essi anche sono alienati rispetto alle loro creazioni. Scoprirete subito il falso marxista da come usa i termini borghesia e capitalisti, se in qualche punto del suo discorso potete sostituire la parola capitalista o borghese con orco state pur certi che magari si vorrà appartenente alla sinistra, magari si riterrà rivoluzionario, forse sarà una persona di sani principi umanitari, ma certamente non ha niente a che fare con il marxismo.

Anche i borghesi, ci ha aiutato a capire Marx, fabbricano le condizioni della propria infelicità, l’alienazione è, in altre parole, un problema diversificato ma universale. Il capitalismo è in sé un grande sistema produttore di razionalità e ordine, così come la borghesia ha positivamente liquidato molti orrori nel corso della sua storia, quell’ordine e quel progresso esigono che ciascuna classe svolga il proprio ruolo, seppur non in maniera omogenea, in alcune direzioni e non in altre.

Se però il capitalismo è razionale, brutalmente se gli scaffali sono più pieni di prima, perché siamo così infelici? Le risposte si sprecano, da quelle più idiote come la decadenza dei valori o l’incapacità di accontentarsi a quelle parziali come l’impoverimento materiale o la soggezione a condizionamenti eteronomi, cui afferisce certamente la retorica del vincente e del perdente che sembra aver pervaso ogni aspetto della nostra vita sociale e personale, a quelle che richiamano la “valle di lacrime” di questo mondo che, se non sono in sé contestabili, lasciano però l’uomo esattamente dove si trova, in una condizioni di minorità, che, diciamolo, non è un gran merito.

Una risposta convincente, perché più delle altre in grado di essere spiegata e di rispondere a una pluralità di fenomeni è appunto riflettere sulla categoria di alienazione, quel processo per cui le costruzioni sociali e i prodotti dell’uomo gli sfuggono di mano e gli si presentano come una realtà esterna, pietrificata, a lui preesistente e contro la quale è impotente, anzi che ne condiziona tutta l’esistenza anche nella sfera privata. Il sodo richiamo ai fatti come a un muro invalicabile sul quale si infrangono chiacchiere e discorsi e i progetti si spappolano in utopie non è altro spesso che lo specchio di una coscienza alienata, oggi molto spesso tutta la società ci si presenta come quel muro, l’uomo è stato scalzato dal suo posto di artefice del proprio destino.

Lottare contro l’alienazione è anche lottare per il socialismo, lottare per il socialismo è anche lottare per la felicità. Come ha scritto Adam Schaff, un filosofo che si è particolarmente e più di altri occupato del problema dell’alienazione[1]: «Si tratta di un socialismo dal contenuto nuovo, di un socialismo che non è utopico a causa dell’impossibilità della sua realizzazione, bensì di un sistema che, non essendoci ancora le condizioni appropriate, non è mai esistito. Parliamo di un progetto di un’idea il cui realismo non può essere messo in discussione in base ai tentativi falliti del passato. Stiamo parlando della nuova società di un futuro prossimo al cui sistema, probabilmente per gli errori del passato sarà dato un nuovo nome, anche se nella sua essenza corrisponde a quello che definiamo come socialismo un nuovo socialismo adattato alle nuove condizioni di vita della società. […] Intendo un’organizzazione in cui non esiste lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, in cui l’essere umano non è sottomesso, involontariamente, all’azione dei meccanismi sociali, situazione che è la causa principale della comparsa del fenomeno dell’alienazione sia oggettiva che soggettiva. […] L’obbiettivo è organizzare la vita sociale in modo nuovo e diverso affinché l’essere umano possa esercitare la sua libertà nel modo più ampio possibile. […] Il senso più profondo delle idee che ho formulato conferma che il socialismo è un sistema organicamente vincolato all’essere umano, sia all’individuo che alla collettività. L’uomo è il creatore del socialismo e il socialismo ha lo scopo di servire l’uomo perché crei condizioni per lottare con maggiore efficacia per la felicità».[2] Occorre però avere chiaro che se nel capitalismo non ci sono orchi è altrettanto vero che non ci sono spade magiche per vincere le battaglie e che riportare sotto controllo umano gli spiriti evocati è un lavoro paziente e lungo in cui il volontarismo dell’impegno non basta e i cui esiti possono ingannare a prima vista (quante volte l’uomo è stato alienato in un sistema che si voleva socialista!). Perciò in questa difficile lotta per la felicità dopo aver garbatamente allontanato gli impazienti, perché evidentemente non è cosa per loro, e i falsi marxisti che non hanno capito che stare dalla parte degli indiani non è una giustificazione per continuare ancora a giocare ai cowboys e agli indiani occorre guardarsi da due specie pericolosissime di cretini che possono vanificare gli sforzi di chiunque.

I primi sono quelli che potrei definire i “cretini rossi”, quelli cioè che credono che la felicità arriverà quando arriverà il socialismo, che a quel punto tornerà il potente stregone buono e rimetterà a posto i pasticci dell’apprendista e potremo finalmente mettere le spranghe tra gli ingranaggi della fabbrica dell’infelicità come se il socialismo non fosse solo una posizione di lotta molto avanzata, come se sotto il socialismo non ci fosse alienazione, come se non patissimo la malattia, la solitudine, il senso dello scorrere del tempo, le reciproche offese, la morte.

Fortunatamente di questa specie di cretini non ne sono rimasti poi molti, come specie in via d’estinzione vivono nelle riserve dei partitini, dei collettivi, delle piccole avanguardie, qualcuno nei campus universitari. Non danno oggettivamente fastidio a nessuno se non ai veri socialisti marxisti ai quali fanno una gran brutta pubblicità contrabbandando, esattamente come desiderano i nemici del socialismo, una loro immagine grottesca e caricaturale. Sarebbe buona cosa riuscire finalmente a liberarsene.

Prolificissimi sono invece i cretini dell’altra specie, spesso sono bianchi o neri, ma non hanno un colore definito e ripetono l’adagio contrario: visto che abbiamo la malattia, la solitudine, soffriamo lo scorrere del tempo, conosciamo la morte tanto peggio per il socialismo che se difficilmente realizzabile non risolve i nostri veri problemi e semmai ne può creare di nuovi.

Questi sono i veri utopisti, coloro che non trovano niente di meglio che condannarsi all’infelicità nel nome della felicità e avvallare lo sfruttamento nel nome della libertà degli sfruttati di mentire a se stessi per vivere in un povero mondo di sogni. Spesso sono inebetiti da qualche privata beatitudine o droga (una volta si sarebbe detto dai fiori sulle catene) e vivono continui stupori angelici freddamente programmati altrove; quando vengono condotti per mano nella fabbrica dell’infelicità sanno dire altro che «Oh ma come funziona bene tutto quanto!» e dubitano, se sanno dubitare, di voler porre fine a questo sistema.

Purtroppo dallo scorso secolo il governo ha emanato un decreto sulla “fine delle ideologie e della licenza di caccia” che rende impossibile al socialista marxista sparare ai cretini i quali possono invece moltiplicarsi a dismisura, rodere i frutti del suo paziente lavoro e ovviamente sbranarlo in qualsiasi momento se diventano aggressivi. Fortunatamente attaccano solo in branco.

Dare un nome o più nomi alla ragione della propria infelicità è un primo passo sulla via verso la soluzione, anche perché se si deve vomitare per la Nausea da esistenza infelice il bagno, dove si finisce per farlo, è purtroppo quasi sempre in fondo a destra. Dare un nome alla via verso la soluzione, che sia socialismo o un altro che gli vorremo dare è già una concreta, difficile e stimolante direzione di lotta, dare un nome alla soluzione è tante cose, ma più che la soluzione è forse quello che ci rimane della sua poesia.

     

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[1] Oltre al testo citato si può vedere anche Adam Schaff, L’alienazione come fenomeno sociale, Roma, Editori Riuniti, 1979
[2] Adam Schaff, Meditazioni, Bari, Edizioni dal sud, 2001, pp. 204-206

          

Ivo Mosele, Attesa
Ivo Mosele, Attesa

One thought on “Ritmi nuovi su una vecchia ballata: apprendisti stregoni, indiani e cretini sulla via del socialismo, di Luca Mozzachiodi”

  1. La figura dell’evocazione degli spiriti incontrollabili è bella e calzante. Il sistema capitalista sta alzando la temperatura del calderone, siamo vicini al momento in cui tutto entrerà in ebollizione perché il destino finale del capitalismo è l’entropia, il caos delle cellule che lo compongono, il passaggio ad una forma inconoscibile di struttura. Aeriforme? Non parlo da economista, ma da poeta. E’ chiaro che già in principio l’idea di sottrarre alla terra qualcosa che aveva sempre custodito nelle sue viscere e farlo diventare una forma di energia era sbagliato. Costruire macchinari e macchinini basandosi sull’energia di elementi che non potevano essere liberati nell’aria era sbagliato. Se il socialismo non si prende a carico il problema della sostenibilità e di modelli totalmente alternativi di produzione e consumo, allora il socialismo è morto e sepolto. Questa credo sia la sfida per il prossimo millennio. Per rispondere agli apocalittici è interessante visionare il film “Domani” di un gruppo di registi francesi che sono andati in giro per il mondo a dare un’occhiata a chi si è rimboccate le maniche e ottimisticamente ha cercato nuove modalità di sviluppo: i gruppi di agricoltori biologici che hanno creati campi di colture nel centro di Detroit, un tempo Motor City, quelli che recuperano tutti i rifiuti urbani per creare compost che viene reimpiegato con costi basti e risultati ottimi come fertilizzanti nell’agricoltura, quelli che a Bristol hanno creato una sterlina alternativa circolante all’interno della città per proteggere nuove iniziative economiche e sociali etc.

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