L’utopia, l’unica che porti alla poesia di Massimiliano Damaggio.
Utopia è il luogo che non c’è. Tuttavia nessuno mi può impedire di cercarlo. La strada verso questo luogo è già di per sé la sua costruzione. L’utopia è un luogo che si costruisce pensando, agendo e camminando verso di esso.
Oggi lo si chiamerebbe un work in progress, un lavoro in corso. Ed è proprio un lavoro, e dei più duri, perché prende il via dalla costruzione di se stessi. Mi viene così da pensare che utopia non sia un termine né positivo né negativo, e che contenga in sé tutto e niente. Un’utopia è la nostra vita, il cammino che ci porta verso un luogo che non c’è e che per noi può banalmente essere il giorno dopo o il 2916.
Nell’immaginario comune, la parola utopia è identificata con: è bello ma non si può fare, sarebbe fantastico ma è impossibile. Sembrerebbe essere una cosa del tutto fuori portata. Chi è malato si sforza in tutti i modi di credere nella guarigione. A un malato terminale nessuno si azzarderebbe a dire: sei utopico. Per quanto impossibile sia la guarigione, ci si sforzerà sempre di crederci, di agire per raggiungerla: di pensare, agire e camminare verso di essa.
Per un anarchico (e non “libertario”) come me, la parola utopia è una condanna, che altri hanno deciso dovesse diventare tale, esattamente come la croce è diventata simbolo di dolore e riscatto universali. Dover spiegare a tutti (una volta, ora non lo faccio più ) che io vivo in funzione dell’utopia, e che questa lenta costruzione di me stesso è il mio fine ultimo, è sempre stato molto faticoso. Sarebbe stato più facile e comunemente condiviso accettare di diventare un buon avvocato. Ma cercare di costruire il mio luogo utopico, beh, questo proprio non sta né in cielo né in terra. Una società in cui sia considerata assurda la sola ipotesi di creare qualcosa che al momento non esiste, non è una società ma un camposanto. Non parlo del nuovo telefonino che fra cinque anni proietterà ologrammi, e che comunque potrebbe essere una buona metafora per questo discorso, poiché non mi sembra un’utopia poi così interessante per la nostra felicità.
Eppure la parola utopia ha un’accezione positiva nel sentire comune: il luogo dove tutto è come dovrebbe essere. Tant’è che qualcuno ha inventato il suo contrario: distopia, il luogo dove tutto non è come dovrebbe essere. La letteratura ha visto nascere capolavori ambientati in questo luogo distorto: 1984 di Orwell, ad esempio – e che esempio. C’è una grossa confusione nella testa delle persone: per quale motivo considerare a priori irraggiungibile un’utopia se inseguirla equivale a costruirla? Il solo fatto di considerarne la possibilità significherebbe un passo evolutivo in più. In realtà non esiste alcuna utopia proprio perché nel momento in cui la penso ne partorisco l’esistenza. L’uomo è sempre stato un generatore di utopie. I manager di oggi, senza averne il minimo sospetto (e come potrebbero?) definiscono tutto ciò obiettivo – e vi assicuro che gli obiettivi del business odierno sono molto più fantasiosi di qualsiasi romanzo utopico, anzi distopico. Viviamo nella società degli obiettivi più insulsi, come appunto creare un telefonino che proietti ologrammi o un’auto che faccia un milione di chilometri con un litro, e facciamo fatica, e ci scoraggiamo, e (sollevati) desistiamo dal perseguire l’obiettivo di un luogo dove tutto è come dovrebbe essere venendo meno a uno dei nostri comandamenti interiori: essere felici. Paul Goodman dice anche, fra le molte cose, che
senza dubbio il termine “pensiero utopico” viene adoperato principalmente per nascondere questo postulato: la struttura e i costumi della nostra società sono assurdi ma non possono più essere cambiati. Qualsiasi accenno ad un possibile mutamento turba la nostra rassegnazione e suscita ansia. E questo è crudele, perché le cose vanno già abbastanza bene così come sono. 1
La paura è sempre stata intrinseca all’essere umano ma da un po’ di tempo si è anche trovato il modo di farne un prodotto per il consumo di massa: qualunque percorso di ricerca del luogo che non c’è viene così bloccato sul nascere e risulta davvero utopico. Drummond de Andrade ha scritto versi memorabili sulla paura: la pietra angolare della nostra organizzazione sociale.
Provvisoriamente non canteremo l’amore,
che s’è rifugiato più in basso dei sotterranei.
Canteremo la paura, che sterilizza gli abbracci,
non canteremo l’odio, perché l’odio non esiste,
esiste la paura soltanto, nostra madre e compagna,
la paura grande dei sertão, dei mari, dei deserti,
la paura dei soldati, la paura delle madri, la paura delle chiese,
canteremo la paura dei dittatori, la paura dei democratici,
canteremo la paura della morte e la paura del dopo la morte,
dopo moriremo di paura
e sui nostri tumuli nasceranno fiori gialli e paurosi. 2
Ma la stessa paura è forse più utopica dell’utopia perché nella maggioranza dei casi è generata da qualcosa che non conosciamo e non c’è – e che comunque non vogliamo in nessun caso andare a scoprire. Se la paura è utopia, l’utopia è la paura che ci venga rivelata una verità che esiste ma non osiamo, come scrive Goodman, affrontare. Carlo Bordini qualche anno fa scrisse una bella e personalissima riflessione sulla poesia, su cui da un punto di vista artistico concordo abbastanza, ma su cui concordo appieno concettualmente perché mi sembra definisca appieno quanto scritto fin qui – s’intitolava Poesia, l’unica che dica la verità:
Amo la poesia perché quando scrivo so sempre da dove parto, e non so mai dove arrivo. Arrivo sempre in territori sconosciuti, e dopo ne so più di prima. Non scrivo quello che so, ma lo so mentre lo scrivo, e per me la poesia è sempre fonte di continue rivelazioni. È come se durante la scrittura ci fossero in me improvvise rotture dell’inconscio. In questo senso sono abbastanza convinto che la parola venga prima del pensiero, sia un veicolo del pensiero. Non si scrive quello che si sa, ma lo si sa dopo averlo scritto. A volte scrivo delle cose che non so assolutamente cosa significhino, lo capisco dopo, o a volte, addirittura, me lo faccio spiegare da altri. […] Apparentemente l’arte non serve a niente, perché non ha connessioni immediate (utilitarie) con la realtà. In realtà tutti gli artisti, dai poeti ai fabbricanti di cravatte, ai disegnatori di fumetti, in qualche modo contribuiscono a creare un’autorappresentazione e un’idea di sé dell’umanità. E spesso sono gli unici a dire la verità, e l’umanità se ne accorge solo in ritardo: i poeti non possono salvare il mondo, perché il mondo se ne accorgerà solo dopo. 3
Tutto ciò è chiaramente utopico perché per Bordini la poesia è una strada che spesso conduce non si sa dove, ma che durante il tragitto costruisce il proprio luogo che non c’è, fino ad arrivarci davvero. In sostanza, dice Bordini, l’arte in generale è un sistema utopico di conoscenza e costruzione di sé. Sarà positivo o negativo, utile oppure no, fattibile o impossibile? A me piace andare oltre queste polarizzazioni e pensare che sia comunque un cammino, la costruzione di qualcosa che prima non esisteva. Da un punto di vista squisitamente politico e spirituale, è già un inizio di una certa importanza. Parafrasando Carlo Bordini, direi: l’utopia, l’unica che dica la verità.
Ulteriore compagno di viaggio utopico è un poeta che amo molto, per la lucidità con cui mi aiuta a concludere questo breve ragionamento, Mário Quintana:
Se as coisas são inatingíveis… ora!
Não é motivo para não querê-las…
Que tristes os caminhos se não fora
A mágica presença das estrelas!
Se le cose sono irraggiungibili… o bella!
Non è un motivo per non volerle…
Che triste il cammino se non ci fosse
la magica presenza di una stella! 4
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1 Paul Goodman,
2 Carlos Drummond de Andrade, Congresso internazionale della paura, 1943.
3 Carlo Bordini, La poesia, l’unica che dica la verità, l’Unità, 01.05.2002.
4 Mário Quintana, Das utopias (Delle utopie), “Espelho mágico” (Specchio magico), 1951.
Grazie, Massimiliano, per questa riflessione. La porterò con me, preziosa e feconda.
Le sue riflessioni sono chiare e dense. Lei è un ottimo compagno di viaggio per un lettore desideroso di apprendere. Le note di rinvio bibliografico sottolineano la sua serietà. Ringrazio.
Davvero lucida e profonda questa riflessione, ricca di spunti e considerazioni importanti. Grazie, Massimiliano, per questo tuo intervento e grazie per il brano di Bordini che non conoscevo e mi sembra toccare un punto centrale della scrittura poetica, che personalmente condivido in pieno.