La percezione della Morte attraverso l’Arte Contemporanea, di Elena Alfonsi
Nelle società del passato in cui la solidarietà era fisiologica tra gli uomini, il rito funebre che accompagnava un lutto veniva considerato un evento sociale a cui partecipavano famigliari e amici, vissuto nell’ambiente domestico, avente la forza di riunire la comunità. Il progresso della medicina, in continua evoluzione per garantire una vita più lunga con la cura ossessiva del corpo, ha creato nella mentalità occidentale un “vuoto” della parola: uno spazio bianco tra le parole inchiostrate, il non-suono tra i suoni emessi. Per cui, il parlare apertamente di morte e del morire, nella maggior parte dei casi, è considerato causa di un “fallimento” del sistema sanitario tradizionale. Il terrore per la separazione del corpo dal mondo, quale luogo in cui si proietta e si progetta, ha allontanato il pensiero della fine dalla vita, poiché è nel non-più corpo che si annientano la totalità delle relazioni significanti il mondo, rendendolo salma, cadavere. Sartre (1943/1968), affermò che il cadavere, a differenza del corpo, non è più “in situazione”, ma indizio destinato a esprimere il passato di una vita che non avrà più un futuro. La paura di morire, di un corpo che si trasforma e della sua successiva decomposizione, è un’ossessione da emarginare. Per questo, è indispensabile colmare la distanza che separa il pensiero dei vivi dal loro giungere comunque inesorabilmente a un termine, conducendo la società a raggiungere un conveniente livello intellettuale e morale per divenire “amica della morte” “alfabetizzata dalla morte”. Guidare alla presa di coscienza dell’ultimo avvenimento della vita umana, reintegrando il pensiero della morte nella vita collettiva, è un terreno educativo da presidiare in una prospettiva didattica costante, non emergenziale, né riparatoria che tenda perlopiù a rimuoverne il ricordo. Lo scopo di coinvolgere l’Arte per costruire dialoghi sulla morte in ambito sociale, vuole favorire il riavvicinamento dell’uomo al pensiero della morte. L’obiettivo è rendere cosciente la comunità della fondamentale importanza di un percorso di consapevolezza dell’esistenza di un fine vita nell’inscindibile rapporto con la vita, attraverso lo stimolo delle opere. La riflessione sulla cessazione delle funzioni vitali nell’uomo contenuta nel messaggio delle opere d’Arte sarà formativa, di responsabilità etica a sostegno della cultura, in grado di rendere gli individui più maturi, di supporto nei riti di passaggio per la pace dei vivi.
La selezione di produzioni artistiche nelle quali sia rappresentato direttamente, quindi visibile, o indirettamente, quindi non visibile, il pensiero relativo alla morte, attiverà la comunicazione tramite immagini dirette, d’immediata comprensione del messaggio o stimolatrici dello stesso. Pur nelle sostanziali differenze stilistiche, l’arte è da sempre uno straordinario medium comunicativo; le opere d’Arte hanno il potere di parlare della “nuova esistenza” dell’Autore che racconta di sé o della società a cui appartiene, stimolando. Una comunicazione non sempre verbalizzabile, ma sinestetica e quindi in grado di coinvolgere la persona, nell’offerta del contributo che ha lo scopo di indurre al cambiamento di pensiero determinato dal bene di quell’esperienza. La vocazione artistica si pone a servizio del bene per garantire la crescita della persona; l’analisi critica interdisciplinare riflettendo sui concetti espressi in pittura relativi al tema della morte, valorizzerà le espressioni socioculturali della propria realtà, permettendoci di raccogliere tutti gli stimoli suscitati dai differenti messaggi scaturiti dallo stesso tema. Partendo dalla visione obiettiva delle opere potranno essere integrate interdisciplinarmente le verità, le intenzioni consapevoli dell’artista con l’ausilio metodologico di diverse competenze. Differenti saranno gli effetti sugli individui attraverso le percezioni del tema principe, reazioni sulla volontà cosciente o incosciente o sul rifiuto di quel pensiero. Nel 1959 Charles P. Snow, nel suo saggio “Le due culture” (1977) portava in luce quanto già da secoli stava avvenendo: la sempre più accentuata divisione e lontananza che si era venuta a creare tra la cultura letterario-umanistica e quella scientifico-tecnica stava producendo conseguenze non di poco conto e che queste, come ribadisce anche Ludovico Geymonat (in Snow, 1964 nella sua prefazione), fossero la causa della crisi della nostra civiltà. Di questa preoccupazione si fa carico Eric Kandel, premio Nobel per la Medicina nell’anno 2000. In un suo recente studio, Arte e neuroscienze. Le due culture a confronto (2017), Kandel sostiene che si possa superare la supposta frattura fra le due culture, evidenziando come le metodologie e gli obiettivi di quella scientifica, che si occupa della natura fisica dell’Universo, siano di fatto condivisi e ben concepiti per dare forza nuova alla potenza di comunicazione nell’analisi radicata al tessuto sociale e civile della comunità. Un potere in grado di stimolare per efficacia comunicativa la partecipazione dei cittadini, e capace di amplificare il suo scopo educativo. L’utilizzo dell’Arte per offrire stimoli di percezione della morte è assolutamente non convenzionale. Integrare competenze differenti in una piattaforma culturale innovativa di straordinaria importanza, offrirà la percezione del valore di opere con le quali poter affrontare uno dei temi cruciali del nostro tempo. Indipendentemente da quale sia il flusso tra l’Alfa e l’Omega di ognuno di noi, ciò che accomuna tutti gli esseri umani è la necessità di sviluppare strutture narrative con una prospettiva storica che possa iniziare molto prima della nascita e concludersi molto dopo la morte (Rodríguez, 2002). Da questa esigenza cognitiva, si costruirà un percorso logico e coerente fino alla vita ultraterrena dando un significato alla percezione ineludibile della nostra insignificanza. Siamo “finiti”, ma il potente motore cognitivo che ci compone è in grado di spingerci all’infinito. Negare la finitezza può generare angoscia, pertanto, come affermano Hennezel e Leloup (1998),saremo in grado di comprendere quanto sia importante parlare di morte nella società a cui apparteniamo. Necessario sarà scegliere con cura le parole per raccontare la realtà inevitabile, e creare “luoghi” nei quali affrontare il pensiero della propria morte o quella degli altri con l’aretè (ἀρετή) dell’Arte.
La creazione di un nuovo eco-sistema della cultura, in questa logica potrà affrontare il fondamentale tema con opere d’Arte di ogni tempo, evidenziando un’utilità collettiva, luoghi del sapere, laboratori ideali per una necessaria e profonda trasformazione, una innovazione per riavvicinare l’uomo alla sua finitudine.
Elena Alfonsi è studiosa di Storia della Critica d’Arte e Tanatologa Culturale. Presidente dell’Associazione Aretè, Si occupa di arte, cultura e Death Education attraverso la pittura, la scultura, la fotografia, la letteratura, la poesia, il gioiello contemporaneo. E’ ideatrice di progetti didattico–culturali, di progetti di responsabilità etica a sostegno della cultura, di laboratori didattico formativi per un corretto approccio all’arte. Nel 2017 ha creato alla Casa del Mantegna di Mantova la Rassegna di Cultura intitolata Alla fine dei conti. Riflessioni sulla vita e sulla Morte. Dal 2018 è co-autrice e co-curatrice del Progetto “La morte nell’arte. La cultura veicolo di sviluppo”. Dal 2021 sarà l’organizzatrice di un’esposizione itinerante, la prima in Italia, dedicata al Gioiello Devozionale Contemporaneo in collaborazione con AGC Associazione Gioiello Contemporaneo, che inizierà da Padova nell’Oratorio di San Rocco per poi proseguire a Firenze, Forlì, Livorno, Mantova, Parma. Scrive per il portale “Vivere il Morire”, collabora come docente al Master Death Studies & the End of Life dell’Università degli Studi di Padova.