Poesie dell’uccidere in volo di Alberto Rizzi, note e selezione a cura di Flavio Almerighi.
Alberto Rizzi ha appena pubblicato via Youcanprint, versione cartacea ed e-book, “Poesie dell’uccidere in volo”: raccolta di poesie per niente celebrative e per niente nostalgiche, scritte attraverso gli occhi di un pilota d’aereo della I Guerra Mondiale, un libro che si distingue. Anzitutto per la figura anticonvenzionale dell’autore. Alberto Rizzi è anzitutto uomo libero poi poeta. Libero da ogni obbligo e da ogni convenzione nei confronti del mondo asfittico della poesia italiana. Un autore in grado di contribuire a renderla più dignitosa restandone fuori. Le poesie si stendono sulla pagina, su tutta la pagina, creando gli stessi vortici d’aria e parole che un aviatore di cent’anni fa poteva sentire e scorgere dal suo biplano di stoffa e legno più pesante dell’aria. Cronaca delle visioni di un aviatore dal suo arruolamento al suo congedo. Traggo la sequenza di una poesia non ripiegata su sé stessa, per niente autoreferenziale, ma ben viva. L’autore piega, aggrega, storpia le parole come materia prima in un modo di intendere poesia non convenzionale e comunque in un moto di ricerca inarrestabile, creativo per niente masturbatorio. Ripercorrere un tempo di cui quest’anno ricorre il centenario, sciagurate celebrazioni le definisce il poeta e non certo a torto, visto che è celebrare l’inutile strage. C’è nostalgia non nostalgica nei colpi d’occhio di quell’aviatore lassù, unici irripetibili, e nelle immagini che porta giù fino a stenderle in pagina sviluppandole in nitrato d’argento com’era una volta in fotografia. Una bellezza.
“Cerchiamo di coltivare in tutti i modi la bellezza che abbiamo dentro e che è il tesoro più grande che abbiamo; specie in un Paese come l’Italia e in tempi come questi.” Alberto Rizzi
Per saperne di più sull’autore: http://www.seautos.it/
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INTUIZIONE
Riconobbi amico lo spessore delle nubi
fino da bimbo
quando nel prato dietro casa
ne conoscevo il respiro dall’andare e dal venire
e questo anche tu con me
giovane amica
a cui spesso ancórpènso
tu pure bimba
allora
Erano sguardi in alto
ciò che sèmprecercàvo
negli occhi mùtili degli adulti
ciò che cercavamo
un assopirsi lieve di immagini
di suoni
ma fiducioso
lo sai
Un presagio di ali malsicure
abbullonate agli omeri d’un uccellonuòvo
ed un gesto frenetico di bimbo
che muove gli altri al riso incomprendenti
***
NORMALE VOLO DI GUERRA
Ho appreso un mestiere guardingo
volare da un punto a un punto di cielo
il tornarne
e il tornare a farlo più volte
e più ancora
ho appreso a muover le ali
sovra schemi precisi
segnalando qualcosa
a chi guarda da inbàsso
a fuggire il nemico
sapendomi inane
o ad attendere un colpo
sudando imparziale
poi sentirlo arrivare
(già intuito dal suolo)
lo schiocco del legno tranciato di netto
e di netto lo stringere i denti
il quasicadére
Il tornare invece a un respiro profondo
e l’abbracciando la terra
la quiete
un’occhiata in silenzio
al compagno seduto ancora d’accanto
e già teso qual croce
***
PER NON SCORDARMI DI RICORDARE
Tu la vedi scendere
la morte
ma non sai
non credi
lentascènde e pianorùlla per un poco
e non capisci
ancora non capisci quel gesto disperato
ed il gridarci appoggio
Poi noti come la mano d’uno
immobile della carlinga al bordo
immobile non sia in gesto di saluto
ma perché giàscòria
di chi ha lontano il viaggio già spiccato
e senti il colore del tuo sangue
nel sangue ch’è lì attorno
Sì che mesti ci si ristà
ormai noi fattici a crocchio
a rivolgerci gli occhi all’uno all’altro
muti
or brividendo un scampato pericolo d’ieri
ora giurandoci che al domani
noi si sarà più rapidi, astuti, fortunati
***
PAUSA
Vi penso tutti
in questa mezz’ora di passo sulla branda
vi son vicino a tutti quanti voi
che rauchi e ciechi
portate di quéstaguèrra veco il peso
sovra di ciuco stolida pazienza
vi voglio bene in fondo
quanti di voi curate le cose attorno a me
attorno a tutti noi
perché il mestier di morte che ci siamo scelti
ci sia più piano
più rapido
indolore soprattutto
e con acroma certezza
privi di emozioni in sigurtà
per quanto sia possibile
noi ci si compia l’opra
Vi voglio bene in fondo
a voi che così rauchi e ciechi siete
da imaginar diversa la faccia a l’inimico
diversa in chissàcòsa poi
quasi a stupirvi
(come quest’oggi, proprio poco fa)
che comprenda e parli nostralìngua
quello che sorte ha avuto
di non finir straziato fra li cavi
fra i legnami
ma quas’intatto di cadérc’inmàno
Voi stolti ch’altro non capite o peggio
se capite
poi nulla fate a fuggire ‘sto carnaio ‘nfame
a tentar di porci fine
Come me
(per questo – non capite? – bènvivòglio)
che altro non so che esservi vicino
***
ULTIMA LETTERA A CASA
Arrivo nel giorno e col treno che sapete
Non è dato invece di sapere
se il peggio sia ancor venuto
o se già ci attenda innanzi
Ma per l’ieri e per l’oggi che consumo
questo ricordo s’è divenuto sfinge
e io feci il mio dovere fino al fondo