La rubrica di L.V. Stein: rapimenti. Mr. Jones a Berlino (ancora)
Questa volta deraglio. Non me ne vogliano i poeti.
Ma la redazione aveva deciso questo tema – la città – e il caso mi ha portato a Berlino.
Mettiamola così, banalmente. La vita è fatta di coincidenze. Questa è una di quelle che riconciliano con la vita, nel gelo dell’inverno occidentale.
8 gennaio 2013. Nel giorno del suo sessantaseiesimo compleanno, il sig. David Robert Jones, nazionalità inglese, musicista, cantante, pittore, dopo anni di silenzio, fa un regalo al mondo.
Tecnicamente è una canzone. Cantata a denti stretti. Di una bellezza struggente. Quasi dolorosa.
Potentemente evocatrice. Il testo, breve, procede per simboli. Luoghi esistiti, poi morti, poi esistiti ancora, inaspettatamente.
Questa volta azzardo un tipo diverso di poesia. Qualcosa che assomiglia ad un’intima commozione per la vita. So di apparire blasfema. Chiedo scusa.
Il signor Jones a trent’anni ha un sorriso meravigliosamente sfrontato. E’ talmente famoso da aver voglia di stare per un po’ ai margini – si fa per dire. Sceglie Berlino, che è sì un luogo a parte, ma al centro di un movimento musicale artistico e culturale d’avanguardia. Vi rimarrà tre anni. Insieme ai suoi amici e alla sua musica. Che lì, cambia, per l’ennesima volta. E cambia la storia della musica.
Perché lui, più di ogni altra cosa, è un artista. E un artista è sempre oltre.
Berlino, alla fine degli anni ’70, al di qua del muro, è una città libera, imprigionata dal muro.
Una forma d’arte lei stessa. Strangolata dalla storia. Incredibilmente viva, malgrado tutto.
Marchiata indelebilmente dalla presenza del muro.
La vita, come l’arte, è impensabile altrimenti. Nessuno, allora, osa immaginarla senza. Neanche gli artisti. Neanche il Sig. Jones, inglese, che arriva dagli Stati Uniti per sfuggire a se stesso, e cercare una nuova forma di creatività, profonda e intima.
L’arte, come tutto il resto, non può prescindere dal muro, e questo rimane, giorno dopo giorno, la cosa mostruosa che è, inaccettabile e onnipresente.
Tutti sanno di doverlo abbattere. Ma nessuno riesce ad avere il coraggio di sperare che accada veramente.
Poi c’è l’altra Berlino, quella al di là. Quella che perde la vita scavalcando il muro. Ma nessuno, allora può credere che accada veramente. Che l’altra Berlino torni a casa. Anni dopo. Una sera d’autunno.
Dunque, questa è la canzone.
E questa è la mia – personalissima – traduzione, la mia versione. Come io – fin da subito – questa canzone l’ho ascoltata e l’ho amata. Potrebbe non essere esatta, ma è quello che io ho creduto di ascoltare, mentre il signor Jones cantava. E tornava. A Berlino. Di nuovo.
David Bowie
Where are we now?
Had to get the train from Potzdamer Platz
You never knew that
that I could do that
Just walking the dead
Sitting in the Dschungel on Numberger Strasse
A man lost in time near KaDeWe
Just walking the dead
Where are we now?
The moment you know
you know you know
Twenty thousand people cross Bose Brucke
Fingers are crossed
Just in case
Walking the dead
Where are we now?
The moment you know
you know you know
As long as there’s sun
As long as there’s rain
As long as there’s fire
As long as there’s me
As long as there’s you
Ho dovuto prendere il treno da Potzdamer Platz
Non avresti mai creduto che lo potessi fare.
Sto solo portando a passeggio i morti.
Seduto nella “Giungla” in Numberger Strasse
Un uomo perso nel tempo, nei pressi del KaDeWe.
Sto solo portando a passeggio i morti.
Dove siamo ora?
Nel momento in cui sai, sai di sapere.
Ventimila persone attraversano il Bose Brucke
Le dita incrociate, che non si sa mai.
Porto a passeggio i morti.
Dove siamo ora?
Nel momento in cui sai, sai di sapere.
Finchè ci sarà il sole finchè ci sarà la pioggia finchè ci sarà il fuoco finchè ci sarai tu finchè ci sarò io.
*
Note.
Potsdamer Platz
Antica, fastosa, piena di vita.
Nell’ottocento la prima ferrovia tedesca parte da qui.
Poi il muro la divide e la annienta. Per anni non sarà nient’altro che un campo senza vita, ricolmo di erbacce, pozzanghere, fango.
Il vecchio Omer, ne “Il Cielo sopra Berlino” di Wim Wenders,vi si aggira sperduto, cercandola invano.
Due giorni dopo la caduta del muro, viene aperto un passaggio provvisorio.
Otto mesi dopo, i Pink Floyd, in uno storico concerto, vi cantano The Wall.
Oggi, di nuovo la piazza. La ferrovia di nuovo.
BoseBrucke
Ai tempi del muro uno dei passaggi di confine (da ovest a est).
La sera del 9 novembre 1989, l’unità di controllo a est, si rende conto che la folla che chiede di passare a ovest, in virtù delle nuove norme sul diritto ai viaggi, è troppa, troppa per gli occhi e per le mani che devono sfogliare i passaporti. Chiede istruzioni. Poi compie un gesto storico. Decide di aprire la barra di confine.
Sul ponte passano, da est a ovest, ventimila persone, senza alcun controllo.
E’ la fine del muro.
KaDeWe
Abbreviazione di “grande magazzino dell’ovest”, 60.000 metri quadri, il più grande d’Europa.
Dschunge
“La giungla”.
Dal 1978, fino alla chiusura nel 1993, il club di Berlino Ovest più frequentato dagli artisti rock di tutto l’occidente.
Capisco. Che follia, parlare di una canzone, priva di musica.
Ma se avrò suscitato nel lettore un minimo di curiosità – allora questa canzone andrà ascoltata –e riascoltata – ad occhi aperti, prima, sull’intrigante video di Tony Oursler.
Ad occhi chiusi poi.
Non sopporto Bowie. Ma quest’articolo mi ha fatto venire voglia di ascoltarlo. Massimiliano.
Grazie. Il tuo commento è lusinghiero. E inaspettato. Possibile che tu non sopporti Bowie? (Scherzo). E’ davvero il tipo di commento che si desidera dopo aver scritto un pezzo come il mio. Lol.
Cara Lol Von Stein, questi tuoi rapimenti rapiscono anche me. Questo articolo farebbe amare Bowie anche se fosse un qualsiasi sconosciuto. Mi complimento per come scrivi e per la passione che esprimi qui come anche nell’articolo su D’Annunzio e in quello sulla Achmatova. Un abbraccio.