Dalla poesia alla paternità e viceversa, editoriale di Domenico Cipriano

Dalla poesia alla paternità e viceversa, editoriale di Domenico Cipriano.

     

    

«Hijo es un ser que Dios nos prestó para hacer un curso intensivo de como amar a alguien mas que a nosotros mismos, de como cambiar nuestros peores defectos para darles los mejores ejemplos y de nosotros aprender a tener coraje. […]» (José Saramago).

     

La paternità è scoperta e conquista, evoluzione dell’amore, gioia per la vita, ma anche meravigliosa ricerca della propria infanzia o timore d’inadeguatezza. Il figlio (o la figlia, ovviamente) diventa il riferimento per ricominciare a guardare dentro di sé, il metro di misura delle proprie scelte. Ciò senza annullarsi, ma allargando i propri orizzonti e rileggendo la propria visione del mondo, a volte ridimensionandola per cercare di cogliere l’essenza del proprio cammino, perché parole come “fiducia” e “presenza” diventano fondamentali, affiancate al termine “dialogo”. E quando ci troviamo difronte alla “nascita” potremmo associarle anche il significato di “rinascita”, perché per un figlio si rinuncia a ogni “peccato” e si cerca la “salvezza”, o si comprende realmente cosa siano la “salvezza” e il “peccato” appena si ha la consapevolezza, fin dal concepimento, di essere diventati “padre”, con nuove e più profonde responsabilità e prospettive intorno a sé e una nuova strada davanti.

Un percorso della vita che, sembra, anche la poesia italiana abbia iniziato ad esplorare, ritrovando nella sua vena creativa il riferimento alla paternità. Non si è più solo appendice di un padre e, dopo averlo cercato, essersi confrontati con lui, averlo preso ad esempio positivo o negativo, rimpianto o venerato, dopo averne raccolto gli insegnamenti, è arrivato il momento di guardare oltre. Così il figlio si trasfigura in padre a sua volta, ed è lui che accoglie, inventa, genera nuovamente. È la poesia che esce dal Novecento, oppressa dai suoi giganti (che si ritrovano comunque disseminati nei versi di oggi) e rifugiata nella vita quotidiana, che cerca il senso concreto alla quotidianità, un posto nel mondo e il proprio riscatto.

Già Umberto Saba scrive A mia figlia nel 1910, rafforzando il tema degli affetti familiari, pubblica Ritratto della mia bambina in Cose leggere e vaganti (1920) e parla della figlia in una delle Tre poesie alla mia balia (1929); mentre Filippo Tommaso Marinetti pubblica Alla figlia, in Poemi simultanei futuristi (1933), descrivendo la nascita e guardando al futuro da una culla-automobile. Poi tocca ad Attilio Bertolucci, che mette al centro della sua poetica le vicende familiari, di cui ricordiamo i versi per B. (dedicati al figlio Bernardo) pubblicati ne La capanna indiana (Sansoni, 1951), ad Alfonso Gatto che ci consegna Al mio bambino Leone in Osteria Flegrea (Mondadori, 1962) – non a caso nel 1945 aveva pubblicato le poesie per l’infanzia Il sigaro di fuoco, poi riedite con il titolo Il vaporetto nel 1963 –, nonché a Giorgio Caproni che, ne Il muro della terra (Garzanti, 1975), dedica una poesia al figlio, legando tre generazioni già nel titolo (A mio figlio Attilio Mauro che ha il nome di mio padre) e, ancora, a Vittorio Sereni che scrive una breve ma intensa terzina per la figlia, dal titolo Crescita, in Stella variabile (Garzanti, 1981) e a Paolo Valesio con la poesia Alla figlia della sua giovinezza, che troviamo in Dialogo del falco e dell’avvoltoio (Ed. Nuovi Autori, 1987): un testo sulla consapevolezza e sulla complessità della paternità, scritto per Sara che, drammaticamente, ci lascia negli anni successivi e, in sua memoria, il padre fonda un “Centro Studi” a Bologna.

Un tema, quindi, che, tragicamente, può confrontarsi con la perdita, e su questo citerei almeno Giuseppe Ungaretti di Giorno per giorno (da Il dolore, 1947), in cui il poeta affronta lo straziante e inconsolabile dolore per il figlio scomparso. A lui farà eco l’appartato Vincenzo D’Alessio, per il rimpianto Antonio, nella raccolta Figli (Ed. F. Guarini, 2009).

Ma occorre cercare le prove tra l’ultimo decennio del Novecento – troviamo Luigi Fontanella che pubblica una commovente raccolta ispirata alla figlia e alla gioia di essere padre, dal titolo Parole per Emma (Edisud, 1991), e torna sul tema nei libri successivi, si ricordi almeno Oblivion (Archinto, 2008) con la dedica “a Emma, ai suoi vent’anni” – e l’inizio del nuovo secolo – ad esempio nel libro Eroi (Fazi, 2000) di Claudio Damiani, nei suoi dialoghi col piccolo Giovanni – per intravedere la possibilità che la paternità possa essere uno degli argomenti concreti di una poetica, andando al di là di singole poesie dedicate o scelte isolate. Seguono raccolte con sezioni sul tema, affrontato in vari modi e contesti, come il poemetto iniziale di Occorreva che nascessi (Marietti, 2004) di Gianfranco Lauretano, scritto per la nascita della figlia. Poi, Davide Rondoni – anche lui come Gatto autore di versi per l’infanzia (Le parole accese, Rizzoli 2009) – dissemina le poesie per i quattro figli nei suoi libri – in particolare in Apocalisse amore (Mondadori, 2008) – e, nella plaquette d’arte Amali più di me (Edizioni Josef Weiss, 2015), completamente rivolta ai figli, troviamo una profonda confessione delle proprie umane difficoltà ad essere padre. Ancora, ne L’onore della polvere (Puntoacapo, 2009) di Luca Benassi scopriamo una sequenza che racconta le ecografie per l’attesa del primo figlio; mentre singoli testi li ritroviamo ne L’angolo ospitale (La vita felice, 2014) di Salvatore Ritrovato. Libri dove gli affetti familiari, più in generale, o le loro complicazioni, sono il tema conduttore delle raccolte. Ecco, anche, sillogi in cui l’argomento esclusivo o predominante, è la paternità, come nella pubblicazione delle sofferte e salvifiche poesie di Figlio (Nottetempo, 2014) di Daniele Mencarelli o nel percorso de L’attesa del padre (Transeuropa, 2016) di Raffaele Niro, interamente scritto per l’esperienza con il piccolo Gioele. Il tema torna nella raccolta di Umberto Piersanti dal titolo Nel folto dei sentieri (Marcos y Marcos, 2015) dove le poesie per Jacopo chiudono un quadro familiare che, negli anni, ha attraversato più generazioni. Massimo Gezzi, ne Il numero dei vivi (Donzelli, 2015), parte da “sillabe” e “vocali” nel trittico dedicato alla figlia, mentre Gian Mario Villalta raccoglie cinque poesie nella sezione La figlia che dice che è felice, in Telepatia (Lietocolle, 2016), per dirci la felicità della paternità. Ma troviamo una poesia anche in Pietra Lavica (Aragno, 2016) di Francesco Iannone; poesie sparse, in forma di lettera o narrazione di brevi episodi, tra i versi di Transito all’ombra (Marcos y Marcos, 2016) di Gianluca D’Andrea; o la paternità, avvertita già prima dell’istante “assoluto” della nascita, in A questa vertigine (Italic, 2016) di Pietro Russo; a cui mi permetto di aggiungere le mie poesie per Sofia, in parte accolte ne Il centro del mondo (Transeuropa, 2014) e che seguono in un altro articolo. Sono solo alcune delle pubblicazioni che mi sono capitate tra le mani, ma sicuramente è molto più ampio il numero degli autori del nuovo millennio che hanno tratto dall’esperienza della paternità l’ispirazione per i propri versi. Un tema che forse meriterebbe un approfondimento critico che non è possibile affrontare qui, in queste poche righe scritte per una semplice riflessione.

La creazione della poesia si concretizza così nella vita. I figli diventano una finestra da cui osservare il mondo, rappresentano realizzazione, impegno e proseguimento della propria esistenza. Non si è più solo discendenti, ma capostipiti di un nuovo tragitto. Una maturità che si sviluppa nelle parole per definire la procreazione e la continuazione, la cura del futuro. L’altro, il figlio, che è parte di noi, come la scrittura, diventa il senso di tutto ciò che si cerca o che si ha davanti a sé. Quindi, dall’appartenenza e dalla figliolanza si passa alla genitorialità. Nuovi creatori, forse mai veramente liberi dai padri, ma pronti a rinnovare e guardare avanti.

                   

Scialla, Francesco Bruni, 2011
Scialla, Francesco Bruni, 2011

6 thoughts on “Dalla poesia alla paternità e viceversa, editoriale di Domenico Cipriano”

  1. Supplica a mia madre

    È difficile dire con parole di figlio
    ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.

    Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
    ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.

    Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:
    è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.

    Sei insostituibile. Per questo è dannata
    alla solitudine la vita che mi hai data.

    E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame
    d’amore, dell’amore di corpi senza anima.

    Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu
    sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:

    ho passato l’infanzia schiavo di questo senso
    alto, irrimediabile, di un impegno immenso.

    Era l’unico modo per sentire la vita,
    l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita.

    Sopravviviamo: ed è la confusione
    di una vita rinata fuori dalla ragione.

    Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
    Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…

    Pierpaolo Pasolini

    “Dalla poesia alla maternità e viceversa”…avrebbe anche potuto essere il titolo dell’editoriale….Complimenti Domenico! stimolante il tuo articolo che sottolinea l’importanza dei legami familiari nella vita e nella produzione artistica. Gli affetti e il senso di appartenenza ad una tradizione sono imprescindibili per costruire un solido futuro, per guarire la solitudine e il senso di “orfanezza”, pre produrre arte. Non c’è Opera senza maestri né figli. Si può innovare la tradizione oppure abbandonarla, ma prima bisogna conoscerla.

    Un cordiale saluto,

    Rosaria Di Donato

  2. Conosco personalmente due delle persone citate nel suo articolo(Piersanti e Lauretano) e mi piacerebbe testimoniare il percorso personale di paternità/maternità che mi son trovato a vivere con mio figlio dalla sua età di 5 anni fino ad ora che ne ha trentuno e vive la sua vita. Questo difficile cammino è stato accompagnato e sufftagato da un percorso di scrittura ,o comunque di ricerca creativa.. da poco ho pubblicato con Casa Editrice l’Arcolaio (Miro Cortini -Augurazione)

    1. Grazie Miro per la sua testimonianza. Il mio articolo spero sia lo spunto per approfondire il tema nella consapevolezza che sono sempre più gli autori che hanno affrontato il tema. Mi fa molto piacere che hai citato il tuo lavoro che non conoscevo. Sarà un piacere scoprirti. Grazie. Un caro saluto. Domenico

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