In dialeto me riesi meio dir ‘te voio ben’, poesie di Giovanni Fierro (Isontino)

In dialeto me riesi meio dir ‘te voio ben’, poesie di Giovanni Fierro (Isontino).

    

    

15578196_1784738495076396_8408373129097152639_oGiovanni Fierro è nato nel 1968 a Gorizia, dove vive.
I suoi testi sono stati pubblicati nelle antologie “Frantumi” (2002) e “Prepletanja – Intrecci” (2003) e nel dicembre 2004 nella sua prima raccolta poetica, “Lasciami così”, edite da Sottomondo Gorizia. Nel gennaio 2007 ha pubblicato “Acque di acqua”, raccolta di sette testi, inerenti al dvd “Jùdrio” dell’artista cormonese Mauro Bon. Gli stessi testi, integrati da nuovi scritti, sono apparsi nell’antologia “Dall’Adige all’Isonzo. Poeti a Nord-Est”, edita da Fara editore nel 2008. Nel febbraio 2011 è uscita la sua raccolta “Il riparo che non ho”, con prefazione di Claudio Damiani e quarta di copertina firmata da Monique Pistolato, edita da Le Voci della Luna. La raccolta ha vinto il premio “Ultima Frontiera” di Volterra, Pisa, edizione 2012. Nel dicembre 2011, cinque suoi nuovi testi a titolo “Una tregua” sono ospitati sulle pagine dell’Almanacco dello Specchio 2010 – 2011, edito da Mondadori. La sua pubblicazione più recente è la plaquette, venti testi, “Oleandro e garaza”, pubblicata ad inizio 2015 per l’editore Qudu di Bologna.
Ha partecipato a varie letture e festival poetici in Italia, Slovenia, Croazia, Austria e Repubblica Ceca. È tradotto in portoghese, sloveno, tedesco, croato, ceco e friulano. Collabora con il quotidiano Il Piccolo e la rivista IsonzoSoča. Cura la rivista mensile on line “Fare Voci. Giornale di scrittura” (www.isontina.beniculturali.it).
È responsabile della collana di poesia “Fare Voci”, per l’editore Qudu di Bologna.

     

Questi due testi nascono da una occasione di poter dire in altro modo alcune cose, con un linguaggio che è quello della mia giovinezza, dei miei primi affetti, del mio primo crescere.
Il piacere di ritrovare suoni e significati, ed usarli ora, nel mio presente è stata una novità, una sorpresa. Una spinta espressiva che mi ha portato in direzioni inaspettate ponendomi con ancora più forza di fronte a me stesso, al mio vivere. GF

     

Ritornar

Se viver xe questo andar de bicicletta
far girar le riode, e star ‘tenti de salide
e discese, dei buroni ai lati
e del fiato, che’l diventa stanco
che la rioda la servi
ma non xe quela del dindiat
anche se se mostra tuto bel e de colori
che magari servi le riode della burèla
per portar tuta sta fadiga
che a brazi non se ‘riva più.
Far girar le riode, sì
ognuna bela e che la funzioni
e magari meter un toco de carton
con la s’cipauca, e far il rumor de un motor
quando i raggi i gira
si, te pol portar qualchidun con ti,
te lo fa sentar sulla canna
e che se stringi, al manubrio
che tocca meter più forza nella pedalada, poi
e per ritornar indrio
xe importante che non la se sbusi,
che non la se fasi un sbrego
ma non la rioda
la fortuna.

    

Ritornare

Se vivere è questo andare in bicicletta
fare girare le ruote, stare attenti alle salite
e alle discese, ai burroni ai lati,
e del respiro, che si stanca
che la ruota serve
ma non è quella del pavone
anche se si mostra tutto bello, e pieno di colori
che magari servono le ruote del carrettino
per portare tutta questa fatica
che con le braccia non ci si riesce più.
Far girare le ruote, sì
che ognuna sia bella e che funzioni
e magari mettere un pezzettino di cartone
con la molletta, per fare il rumore di un motore
quando girano i raggi
sì, puoi portare qualcuno con te
lo fai sedere sulla canna
e che si tenga forte, al manubrio
e bisogna che metti più forza nel pedalare, dopo
e per tornare indietro
è importante che non si buchi
che non si faccia un taglio
ma non la ruota
la fortuna.

    

rioda: ruota
dindiat: pavone, vocabolo dal friulano
burela: carretto a due ruote, si conduce a mano
brazi: braccia
scipauca: molletta
indrio: indietro
sbrego: taglio

*

Tornar, de novo

Sempre più me sucedi
de pensar a quando iero picio
de questo tornar indrio
me spiego poche robe, ma quele che le conta
spero che sia cussì
me piasi de novo veder il vento
che fa mover le foie del pioppo
su i sui rami, ghe fa far l’onda e un giro ‘ncora
e che adesso in dialeto me riesi meio
dir ‘te voio ben’, e me vedo il puteleto che iero
che’l provava a far dieci palegi
con il balon storto
e dentro de ogni buio che me meto
del babàu adeso rivo a vardarlo ta i oci
e no scapar via, no più, coi ginoci che trema
me digo anche che costruir una casa
e tegnirsela streta
xe ancora farla con i mattoncini del lego
e no bisogna ciaparse de sbigula.
De tutto questo che’l me gira intorno
e me fa girar
cosa poso pensar, si lo so
xe questo
la mia infanzia xe la mia mama
la vedo lì, che la me speta
e come rivo la me dise
‘te vedi Giovanni, te son tornà’.

    

Tornare, di nuovo

Mi succede sempre di più
di pensare a quando ero piccolo
di questo tornare indietro
mi spiego poche cose, ma quelle che contano
spero che sia così
mi piace di nuovo vedere il vento
che fa muovere le foglie del pioppo
su i suoi rami, le fa fare l’onda e un giro ancora
e adesso in dialetto mi viene meglio
dire ‘ti voglio bene’, e mi vedo il ragazzino che ero
che provava a fare dieci palleggi
con il pallone storto
e dentro ogni buio in cui mi metto
l’uomo nero adesso riesco a guardarlo negli occhi
e non scappo via, non più, con le ginocchia che tremano
mi dico anche che costruire una casa
e tenersela stretta
è ancora farla con i mattoncini di lego
e che non bisogna aver paura.
Di tutto questo che mi gira attorno
e mi fa girare
cosa posso pensare, si lo so
è questo
la mia infanzia è la mia mamma
la vedo lì, che mi aspetta
e come arrivo mi dice
“vedi Giovanni, sei tornato”.

*

             

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