Paure sociali, “editoriale” di Claudia Zironi

Paure sociali, “editoriale” di Claudia Zironi.

        

      

“Io non sono razzista, delinquente e qualunquista”: si deve esordire così per essere politically correct e togliere ogni sospetto di pregiudizio?
Ma posso io parlare a voi delle mie paure senza essere giudicata? Posso esprimere dissenso nei confronti di culture altre e della nostra occidentalissima “civiltà”, ove io intraveda ombre e pericoli, senza essere tacciata di razzismo, delinquenza e qualunquismo?
Questa è dunque la mia paura dell’esordio, la prima a cui appendo questo scritto: il giudizio.

Premesso dunque che non mi reputo razzista, Loro comunque mi fanno paura…

Una mattina all’anno li vedo passare, tutti vestiti di bianco verso la moschea improvvisata nel circolo Arci, sono belli con i visi illuminati dalla fede. Li vedo passare tutti puliti e ordinati, gli abiti di buona stoffa, non ci sono strappi, di fresco lavati e stirati. Sono belli. Sono tutti belli e Maschi. Sono solo maschi. E io che non sono razzista – occorre ribadire – li guardo con terrore passare sotto la mia finestra, davanti alla mia casa, nella mia città. Nella loro città. Verso la loro moschea.
Mi fa paura la loro cultura della segregazione, ciò che rappresentano per le donne: uno schermo davanti a uno schermo, una maschera davanti a una maschera, una maschera di ferro saldata sulla faccia. Perché l’occidente mi dà almeno l’illusione di potermene sbattere se ho le rughe e la cellulite (mentre non me ne sto sbattendo affatto proprio per il fatto che le cito), mi dà l’illusione che il velo del corpoperfetto e della giovinezzapersempre non siano imposizioni ma scelte.
Lì no, lì il velo lo devi portare, devi stare a casa e fare figli, devi sentirti diversa da quell’altra metà di popolazione a cui hai dato la vita, non hai scampo, non ti danno illusione: devi per forza sentirti un Peccato.
Provo la stessa nausea, lo stesso brivido cattivo, la stessa paura, ogni volta che in una chiesa mi rivolgo al matroneo per ammirarne la decorazione e l’architettura.
Essere considerata un Peccato mi fa paura, ribollire della rabbia della discriminazione mi fa paura.

Poi esco, faccio un giro in centro e trovo altri che mi danno i brividi, altri che invece parlano la mia lingua e hanno i blindati a tutela dell’ordine pubblico e della tranquillità dei cittadini, con i loro blocchi di cemento e la tenuta antisommossa, pronti a sventare qualsiasi attacco. Quasi tutti maschi, in divisa, grandi, belli, armati, quasi tutti Maschi e alcuni indiscernibilmente falsi, come quelli che hanno accompagnato a casa le ragazze qualche settimana fa e le hanno violentate.
In divisa, belli, forti, giovani, maschi, padri, figli. In divisa. Come quelli che tante volte in passato hanno sparato. No, non sui terroristi o sugli assassini: quelli che hanno sparato sui lavoratori in sciopero, sugli studenti in protesta! Sono quelli in divisa che hanno i manganelli e i lacrimogeni. Quelli che a volte senti che si lasciano corrompere, quelli che avevano una Uno bianca, quelli che a Genova… quelli di Stefano Cucchi…

Io non sono una delinquente – vi ricordate? si necessita sempre una specifica – ma loro… Loro mi fanno paura.

E mi fanno paura le strade che cambiano e non le riconosco quando ci ripasso dopo anni, mi fanno paura le facce dei coetanei che si riempiono di rughe, mi fa paura il traffico e mi fanno paura le amministrazioni cittadine che fanno retoriche piste ciclabili sui marciapiedi e io non so più dove passare a piedi, posizionano statue, mettono panchine di design nelle piazze delle chiese, mettono autovelox sui viali, telecamere sui varchi, parchimetri nei pochi parcheggi, acquistano – con i nostri soldi – inutili tram a guida ottica avveniristici e abbattono gli alberi per farli passare (poi lasciano i mezzi marcire in un deposito e nessuno li denuncia), riqualificano zone urbane insieme ai cugini palazzinari, rendono edificabili le aree verdi, addobbano una via per il Natale con simboli massonici, paralizzano una città perché si giochi la partita di calcio o perché possa passare il Papa, ristrutturano palazzi e aprono musei per favorire il turismo (non, dunque, in nome della cultura e dell’arte), sprecano denari su denari per i depliant pubblicitari delle loro belle imprese di governo (senza mai avere realizzato una linea di metropolitana con la scusa dei reperti archeologici e dell’acqua sotterranea – che chissà a Roma come hanno fatto? – e non avere spostato l’autostrada fuori città, lasciandoci soffocare nello smog e nel traffico per scambiar favori con gli amici di Autostrade per l’Italia).

Specifico proprio qui che: io non sono qualunquista.

Poi mi fanno paura i ragazzini e i lavavetri ai semafori con i loro sguardi di sfida e tutti i loro diritti calpestati, e gli agenti immobiliari; mi fanno paura le parrucchiere cinesi e i baristi cinesi e i sarti cinesi e ogni altro cinese che vive in via Ferrarese, perché è davvero troppo difficile scorgere empatia in tanti occhi orientali; e mi fanno paura i topi attorno ai cassonetti e i promotori finanziari. Mi fanno paura le cliniche private e i laboratori d’analisi privati, e i CUP dove si propone a un pensionato ottuagenario di fare la visita cardiologica urgente a Vergato. Mi fanno paura le masse accalcate nei negozi per i saldi, tutti quelli che corrono al lavoro, quelli che dormono per strada nei cartoni, i palazzoni popolari, i vicini che non mi salutano quando mi passano a fianco, il complicarsi della raccolta differenziata, passare nei pressi della stazione ferroviaria, la TV on-demand, i taxisti, i borseggiatori sull’autobus, le feste del PD, le donne giovani che dicono altezzose che non sono femministe e tutti quelli che: la politica fa schifo. Mi fanno paura Trump, Grillo, Renzi e Salvini.

Mi fa paura ogni paura proposta dalla televisione, mi fanno paura i social-bavagli e non sapere come esprimere efficacemente il dissenso, mi fa paura ogni giorno uscire di casa – e anche rimanerci, dopo il terremoto del 2012 e tutti gli altri sparsi in centroItalia, avendo saputo che le costruzioni anti-sismiche, qui da noi, sono un concetto rimasto astratto.

Ho paura di razzisti, delinquenti e qualunquisti. Ho paura delle discriminazioni, delle etichette e dei giudizi.

    

E la poesia?

Se sogno il mare
Penso ai cadaveri galleggiare

       

Angoscia, George Cukor, 1944
Angoscia, George Cukor, 1944

6 thoughts on “Paure sociali, “editoriale” di Claudia Zironi”

  1. Claudia hai fatto un elenco delle nostre paure, non solamente delle tue e sei stata molto accurata nell’elencazione. il mondo non è mai stato un poste si potesse vivere serenamente, ma adesso la situazione è peggiorata.
    vorrei dire anche a me fanno paura i distributori di carburante quelli che quando inserisci la carta non sai mai se la riavrai, e se invece metti i soldi temi sempre di esserti sbagliato a contarli in più. E il resto ??? Addio.
    ma sono le mia paure da anziano, non ti toccano.
    ciao
    luigi

    1. Veramente, Luigi, i distributori per fortuna li avevo dimenticati… 😀 grazie come sempre per leggermi e lasciarmi un segno di passaggio caro amico. CZ

  2. Coinvolgente e dettagliato, corposo e incisivo: con ritornello retorico (vedi discorso di Antonio) e finale poetico… Adesso ho paura anch’io che mi aggiravo impassibile a Pianoro dove tutto è più rassicurante o a Messina dove tutto è più terrificante!

    1. Pino, a Pianoro, quando guardo la enorme fontana spesso spenta, io mi inquieto parecchio! :O Grazie del passaggio e del commento!

  3. Essere qualunquisti significa partire da una posizione pregiudiziale senza confrontarsi con le dinamiche della realtà, senza concedersi la possibilità di ammettere che forse ci si è sbagliati e che le proprie idee possono essere cambiate attraverso le esperienze. Il panorama che Claudia Zironi delinea è desolante, ma bisogna avere la forza di proiettarsi oltre lo stato delle cose e immaginare un futuro diverso. Io sono insegnante e ogni giorno la mia paura si trasforma in rabbia: rabbia perché le ragazze pakistane arrivano nelle mie classe bellissime, i lunghi capelli neri sciolti e dopo un anno eccole completamente ricoperte di gramaglie scure dal capo ai piedi. Però la paura a questo punto è delle loro famiglie che vedendo in quale tipo di mercato si aggirano le ragazzine italiane, reagiscono richiamandosi alla tutella dell’ortodossia. Chi ha più paura? Noi? Loro? Poi i ragazzi per le elezioni dei rappresentanti di istituto formano liste dai nomi singolari: una di queste si chiama social-lista e propone come punti programmatici feste da ballo, biglietti di San Valentino da distribuire a scuola, autogestione con dj set. Anche qui rabbia e paura. Ma dove sono i veri spazi assembleari che per quelli della mia generazione erano un’esigenza imprescindibile, per misurare la nostra presunta minorità con i temi forti della partecipazione e della politica? Ma questi studenti non sentono forse dentro di loro la paura di un futuro troppo oscuro , lavoro ultraprecario, ambiente invivibile? E allora ecco che scatta il processo delle regressione, del bamboleggiamento, dei rituali vuoti e senza alcuna creatività. Ma c’è anche la paura di fare una passeggiata a Bologna il sabato pomeriggio: non paura degli extracomunitari, ma di tutti quegli italiani che passano il tempo libero passando di negozio in negozio in Via Indipendenza e in Via Rizzoli, scarpe fiammeggianti , iphone di ultima generazione, oggettini alla maison du monde, porcherie alimentari che vanno di moda. Realizzano il tracollo antropologico che il bolognese P.P. Pasolini aveva previsto molti anni fa. Portici della Morte. Paura e rabbia. Ma la rabbia giusta non deve essere impotente, deve fissarsi degli obbiettivi, dei progetti culturali di intervento, deve urlare la poesia della vita soprattutto nelle zone a più alta densità consumistica. Deve ripensare nella città uno spazio utopico, dove la paura passando attraverso la rabbia possa diventare conoscenza delle situazioni e possa sforzarsi nella ricerca di una coniugazione creativa. A scuola abbiamo organizzato un laboratorio teatrale di 30 ragazzi e la metà di loro sono di origine straniera. Si discute e si mettono in scena paura e rabbia. E’ poco, ma da qualcosa bisogna pur ripartire.

  4. Ed era il 2017. Qualcuno, come Claudia, aveva gli occhi bene aperti, ora le stesse miserie e paure sono percepibili anche a occhi chiusi.

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